a cura di Felice Colussi
Folk Bulletin: Nel tuo passato musicale ci sono molte avventure musicali di grande pregio. SI può dire che con la chitarra elettrica hai lasciato e lasci il segno. A un certo punto ti sei innamorato della chitarra acustica: un colpo di fulmine?
Raffaello Indri: Devi sapere che prima di avvicinarmi alla chitarra elettrica ho iniziato gli studi con la chitarra classica, trovandone sempre fonte di entusiasmo e ispirazione e, da allora, non l’ho mai abbandonata. L’innamoramento, o meglio, il colpo di fulmine per la chitarra acustica, invece, è arrivato tramite l’ascolto del disco Friday Night in San Francisco con conseguente avvicinamento al repertorio di Al Di Meola, John Mclaughlin e il compianto Paco de Lucia. Proprio di quest’ultimo ho il ricordo di uno dei concerti più belli ed emotivamente coinvolgenti a cui abbia mai assistito.
Da quel momento, la chitarra acustica ha sempre avuto un ruolo nei miei progetti musicali, nell’Harduo in primis, ma anche negli Elvenking è presente ad enfatizzare le ambientazioni celtiche ed i momenti più romantici dei brani.
In generale, posso dirti che io suono perché amo l’energia che ti può dare una chitarra e amo l’ampia gamma di sfumature che ti può offrire, dai suoni gutturali nel Metal estremo delle chitarre elettriche ai suoni cristallini degli arpeggi più lunari delle chitarre acustiche.
Folk Bulletin: Raccontaci un po’ com’è nato questo tuo progetto allargato, decisamente inusuale.
Raffaello Indri: Messo in stand by il progetto Harduo per motivi personali del mio amico e collega Andrea Varnier, ho deciso di concretizzare le mie composizioni acustiche in una veste nuova.
A fronte dell’esperienza maturata in studio di registrazione nell’arrangiamento delle chitarre acustiche, ho voluto spingere la stratificazione melodica a un nuovo livello.
Le parti sono tutte state scritte prima per ottimizzare l’architettura dei brani. Questo è stato un processo nuovo e lungo che si è sviluppato in diversi mesi di lavoro. Nella scrittura delle parti, ho cercato degli intrecci senza mai sacrificare l’entusiasmo di suonare. Chiaramente, sono parti a supporto di una linea melodica, ma che possono mantenere significato anche prese singolarmente. Completata la scrittura, ho iniziato a verificare, in primis tra i miei allievi e poi con delle audizioni, l’interesse nel progetto. In poco tempo, si è definito un organico di ottimi chitarristi che hanno abbracciato con entusiasmo l’idea dell’orchestra.
Folk Bulletin: Prima del Covid avevate iniziato a muovervi in concerto, poi tutto si è fermato per cause di forza maggiore. Che tipo di risposta c’era stata dal pubblico?
Raffaello Indri: Il primo concerto è stato fondamentale per verificare l’efficacia delle composizioni e degli arrangiamenti. Non nego che fino alla fine l’incognita del risultato e, soprattutto, della risposta del pubblico suscitava qualche preoccupazione. Alla fine, il concerto è stato un grande successo in termini di affluenza, il teatro era pieno e abbiamo anche dovuto negare l’accesso ad altri interessati. Ma l’aspetto ancora più importante è che il progetto è stato accolto con grande entusiasmo, i brani sono piaciuti ed il risultato finale, documentato anche da alcuni video, è andato incontro a tutto quello che avevo immaginato.
Folk Bulletin: Parlaci un po’ di questo disco: com’è nato, come l’avete costruito artisticamente?
Raffaello Indri: Come ho anticipato, alla parte di scrittura sono stati dedicati circa due anni di lavoro. A fronte della realizzazione delle parti, ci sono state le audizioni e l’assegnazione delle stesse in relazione alle caratteristiche dei chitarristi in gioco.
La musica, come spesso in tutti i miei progetti, è una contaminazione di tutte le influenze che amo. C’è della musica etnica, classica, rock, moderna, celtica e Metal.
Mi piace far coesistere all’interno dei brani momenti più rassicuranti ed altri più imprevedibili. Proprio questa mia inclinazione mi porta a scrivere pezzi piuttosto lunghi rispetto agli standard dei repertori acustici. Nelle composizioni, amo evocare una sorta di viaggio musicale, sia spaziale che temporale, un processo che parte da un’idea embrionale che poi cresce e si sviluppa nell’immaginazione ancor prima che sullo strumento.
Non mettendo vincoli di stile, ci si può sentir catapultati in ambienti diversi ed in tempi diversi anche all’interno di uno stesso brano. Nelle composizioni, ho previsto nove parti differenti, ognuna delle quali è doppiata. Da qui l’esigenza di avere diciotto chitarristi per una disposizione sul palco stereofonica. Ovvero, ogni chitarrista ha il suo doppio nella parte opposta del palco. Oltre all’idea compositiva, avevo piacere di provare una resa di ascolto inusuale, a simulare la stereofonia che di solito è in gioco in tutti i processi di registrazione.
Folk Bulletin: Un progetto musicale di questo tipo presenta sicuramente parecchie difficoltà tecniche per la sua registrazione. Come avete affrontato tutte le problematiche?
Raffaello Indri: Le registrazioni si sono sviluppate in tre studi diversi: nel mio Skorpio Studio, nell’ Entropia studio di Simone Sant e nello studio privato di Andrea Vittori (entrambi chitarristi eccezionali e presenti nell’organico dell’Adamantis Guitar Orchestra).
I chitarristi coinvolti nelle registrazioni sono stati smistati nei tre studi a seconda delle varie esigenze logistiche. Purtroppo, le restrizioni dovute alla pandemia non hanno aiutato la regolarità delle riprese ed il lavoro si è protratto oltre un anno. Nel mentre, a seconda della tipologia di brano, ho invitato altri amici con i rispettivi strumenti ad impreziosire gli arrangiamenti. Hanno quindi preso parte: Pietro Sponton alle percussioni, Flavia Quass alla voce, Rudy Fantin al pianoforte e Martina Arya Fabris alla ghironda.
A fronte del completamento delle registrazioni, una bella sfida è stata il mixaggio del disco. Insieme ad Andrea Vittori abbiamo iniziato il lavoro cesellando ed incastrando le varie parti con l’intento di non sacrificare nulla, ma anche di lasciare il giusto respiro alle composizioni. Raggiunto il risultato che ci soddisfaceva, abbiamo lasciato il mastering nelle mani dell’amico ed eccezionale fonico Davide Linzi, che ha trovato il giusto equilibrio per garantire una buona resa dinamica dei brani.
Folk Bulletin: Oltre all’ attività musicale dei tuoi diversi progetti, porti avanti un’ intensa attività didattica. Come hai vissuto la tua formazione e quanto pensi sia importante per costruire una carriera artistica?
Raffaello Indri: Io ho sempre studiato duramente, fin da quando ero ragazzo, cercando di apprendere il più possibile e di sviluppare le mie competenze in ambito musicale. Questo non è mai stato un vero e proprio sacrificio, tanto che tuttora continuo a studiare con la stessa dedizione e passione. Sicuramente mi ha aiutato l’avere bravi insegnanti ed è, a mio avviso, importante appoggiarsi a realtà didattiche con programmi e percorsi seri.
Io mi sono diplomato alla Lizard di Fiesole e, tra i miei sogni d’insegnante, c’è sempre stato quello di aprire e gestire un’accademia musicale con la serietà che merita un percorso didattico moderno. Dal 2018, grazie alla fiducia di Giovanni Unterberger e Nicola Fiorino, questo sogno si è realizzato e abbiamo aperto un sede Lizard a Palmanova (unico centro didattico Lizard per la regione). Con grande piacere, vista la serietà dei percorsi che proponiamo, da allora continuano ad avvicinarsi molti musicisti giovani e adulti, già bravi e navigati, che hanno piacere di aumentare il loro grado di professionalità.
Ora, non sempre il solo studio può garantire uno sviluppo artistico e professionale, ma sicuramente lo può agevolare gettando delle solide basi. Tra le mie ambizioni c’è l’aiutare gli allievi a far sbocciare naturalmente le proprie vocazioni e talenti e mantenere sempre viva la passione per la musica come strumento di crescita personale.
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