AUTROPRODUZIONE FCPN1, 1999 – TRADIZIONALE/EMILIA
Che coraggio, ragazzi! A chi m’avesse detto, anche solo cinque anni fa, che in Italia (anno 2000) sarebbe stato dato alle stampe un disco per sola piva emiliana e chitarra avrei dato del matto. E invece, grazie alla vitalità che contraddistingue in misura sempre maggiore il tanto bistrattato circuito del folk italiano (quello di base, quello che con gli etnomusicologi e i giornalai musicali con la puzza sotto il naso si è sempre frequentato poco) e al crescente e sempre più ampio interesse del pubblico, ecco che tanti piccoli miracoli accadono… Intendiamoci, questa lunga sequenza di brani a ballo dell’Appennino bolognese (con qualche rara incursione più a nord), rigorosamente eseguiti dalla piva di Franco Calanca accompagnata dalla chitarra di Piero Negroni, non è un disco che ci sentiamo di consigliare a tutti, soprattutto a coloro i quali magari si sono avvicinati da poco a queste sonorità trascinati dai vari Hevia e dintorni: la sua timbrica fin troppo lineare lo rende a tratti un tantinello ripetitivo, ma chi sarebbe riuscito a fare di meglio date le premesse? Franco Calanca si dimostra quindi non solo un ottimo costruttore di piva e altre sacche del diavolo, ma anche un interprete attento e capace di estrarre dal suo strumento le non poche potenzialità intrinseche; Piero Negroni si rivela un accompagnatore preciso e consapevole del suo ruolo di appoggio, risultando determinante nella funzionalizzazione alla danza dichiarata nel titolo del disco. Credo che gli amici ballerini, a questo proposito, obietteranno sull’eccessiva brevità di alcuni brani, che li rende di fatto inutilizzabili allo scopo, ma non ci pare colpa grave. Nelle esibizioni dal vivo il duo, magari accompagnato dal resto di quella Lanterna Magica di cui entrambi sono fondatori, sarà senz’altro in grado di soddisfare le esigenze di chi vuole ballare fino allo sfinimento le danze rese celebri da Melchiade Benni e dalle ricerche di Stefano Cammelli. Come dice giustamente Bruno Grulli nell’introduzione al disco, questa piccola autoproduzione potrebbe rappresentare l’inizio di una inversione di tendenza nella fruizione della musica tradizionale, tracciando una strada che molti altri, con altri repertori, potrebbero decidere di seguire, per il bene di tanti patrimoni misconosciuti e pure di grande valore.
Roberto G. Sacchi
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