TRENTINI EDITORE – FOLK CONTEMPORANEO/ITALIA, 2005
Massimo Giuntini suona “Ancestral breath”.
Punto. Potremmo chiudere già a questo punto la nostra recensione perchè questo eclettico musicista suona tutti gli strumenti presenti in tutti i brani dell’album. Dalle uillean pipes ai low e tin whistles, la chitarra, il bouzouki, il basso elettrico, le percussioni, le tastiere, i campionamenti. Però non canta…ma non importa perché, nel complesso, questo è un lavoro che proprio non necessita di nessun intervento vocale tanto è abbondante la sua forza musicale, capace di esprimere potenza come in “The runaway” e dolcezza in un brano come “Fairy tale”, con echi che ci rimandano alla tradizione scoto-irlandese proiettando nel nostro inconscio immagini forti e fiere provenienti dalle terre del nord Europa. “The march of the trees” e “The sound of ancestral breath” sembra che facciano emergere i personaggi tolkeniani presenti nelle storie della Terra di mezzo. Atmosfere ariose, immagini colme di tenerezza, istantanee di un mondo che non è più (e forse non è mai stato ma che a noi piace sognare per ciò che riteniamo bello e giusto). Il suono del flauto è pieno di struggente nostalgia ed apre le porte alla cornamusa che si manifesta con una sonorità non invadente ma profondamente radicata nell’atmosfera complessiva che si vuole manifestare attraverso l’incedere dei brani di questo buon lavoro di Giuntini. Le suggestioni sono molte e questo “Ancestral breath” riesce a mantenere la giusta dose di tensione affinché l’ascoltatore non perda la sua attenzione nei confronti di suoni con lo sguardo rivolto alla tradizione, al passato, e l’animo rivolto alla modernità, al futuro. Senza però perdere di vista l’urgenza più importante: quella di mantenere il giusto contatto con una tradizione che si può modificare nelle modalità espressive ma non nelle sue radici più profonde.
Rosario Pantaleo
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