FOLK CONTEMPORANEO/ITALIA – FELMAY FY8148, 2009
Non sappiamo se la cosa sia voluta o no, anche se la cura con cui è realizzato questo disco ci fa propendere per la prima ipotesi. Ci riferiamo all‘effetto straniante che Andirivieni ci provoca se iniziamo l’ascolto da tracce diverse del disco. Se partiamo dall’inizio, è difficile non restare condizionati dall’aria così profondamente irlandese che si diffonde sulle note di Kewät, così come, più o meno a metà disco, la traccia La serra ci conduce con l’immaginario decisamente più a nord, in Svezia, forse, o in Finlandia. E in tutte le tracce successive, quell’impressione derivata dal primo ascolto condiziona l’intero disco. Ora, attenzione… Significa forse questo che Andirivieni è un prodotto eclettico, privo di personalità, un disco Zelig che si adatta alle modifiche suggerite dal consenso o da qualsiasi altra valutazione non artistica? No. Significa l’esatto contrario. Che Andirivieni è un disco capace di emozionare in differenti e sfaccettate maniere, omologhe fra loro come intensità ma diverse come caratteristiche. Al punto che diventa quasi impossibile seguire un filo logico od emotivo che ci conduca a preferire un brano all’altro, a giudicare un’emozione meglio trasmessa di un’altra. E non potrebbe che essere così, perché questo disco è profondamente, intimamente connesso alla personalità artistica di Filippo Gambetta che, dopo Stria e Pria Goaea arriva all’opera della maturazione definitiva. Una maturazione alla quale partecipa un piccolo stuolo di ottimi compagni di percorso, dagli onnipresenti Riccardo Barbera (contrabbasso) e Claudio De Angeli (chitarra), alla presenza discreta di Michel Balatti al flauto di legno, ai cameos di Mario Arcari all’oboe o del padre Beppe Gambetta alla chitarra, testimoniando con la propria varietà di timbri e colori il raggiungimento di una personalità indiscutibile da parte di Filippo, una personalità costruita sulle centinaia di ascolti e incontri con musicisti (giovani ma non solo) di ogni parte del mondo, organettisti come lui (ma non solo). Del folk più scontato e più prevedibile ormai in Filippo non c’è più traccia, ma Andirivieni rischia di essere il manifesto sonoro di quella definizione di folk a mezza strada fra idea e modo d’essere che ci trova accesi propugnatori. Per chi pensa che l’organetto possa essere un linguaggio universale, indispensabile.
Roberto G. Sacchi
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