Da qualche anno in forza ai Lou Dalfin in qualità di suonatore di vari strumenti a plettro, Mario Poletti esprime la sua musicalità in maniere molto diverse. Titolare del Mario Poletti Quartetto, che suona world-music ed etno-jazz, e del trio Amarcorde (swing, manouche, musica d’autore), ideatore dello spettacolo “I Natali di montagna”, collaboratore degli aostani Ficelles-artzet, ha scritto musiche di scena, sigle, colonne sonore per documentari e fiction, e questa sua versatilità ne fa un personaggio piuttosto singolare nel panorama piemontese. Giunto al traguardo del primo disco da protagonista, in cui si esibisce al bouzouki, al mandolino e al banjo tenore, lo fa consegnandoci un prodotto semplice e pulito, verrebbe da dire minimale, in cui è affiancato da Oreste Garello (chitarra, banjo chitarra, lauta, mandoloncello), Gerardo Cardinale (flauti), Daniele Bianciotto (percussioni), Marco Martinetto (tastiere) e Nina Weiblinger (violino). Tranne un paio di tradizionali, i brani sono tutti dello stesso Poletti, e si muovono anch’essi nell’ambito dell’assoluta linearità, quasi avesse voluto sottolineare come nell’essenzialità della musica risieda spesso il segreto della serenità (“less is more” dicono di là dall’Oceano, e non sbagliano). Certo, qualche riga di spiegazione in più non avrebbe guastato, ma la scelta minimale ha contagiato anche il libretto, che non c’è, sostituito da una semplice copertina. Il “Branle des Robots”, “Il ritorno di Popof” e “Corinna” i nostri pezzi preferiti. Chi vuole una ventata d’aria fresca, apra la finestra a “Baith” e lo lasci entrare: fa compagnia e non annoia.
Giacomo Sereni
Lascia un commento