I Brual ci parlano del loro ultimo disco pubblicato da Folkest Dischi
a cura di Gianni Giusti
Abbiamo incontrato Claudio Mazzer, che ci ha raccontato la storia, l’evoluzione e il futuro del gruppo friulano Braul, una formazione che negli anni ha saputo ritagliarsi un suo spaziono nell’ambito della musica folk del Friuli.
Folk Bulletin: Claudio, prima di tutto, ci racconti un po’ la storia del gruppo?
C. M. Il primo embrione nasce nel 1993 a San Martino di Campagna (PN), dove per pura combinazione, vivono tre dei futuri componenti del gruppo. E’ davvero straordinario come in un paese della pedemontana friulana di appena seicento anime, vi risiedano tre personaggi, tutti musicisti, grandi appassionati di musica folk, sai…Alan Stivell, Malicorne, Blowzabella, solo per citarne alcuni. Forse il karma, chissà….
Da lì prende forma l’idea di fare un percorso simile a quello dei maestri sopra citati, ma con la musica della nostra regione, cosa non propriamente semplice da farsi, ma incoraggiati dalle prime sperimentazioni messe in atto da qualche anno da alcuni gruppi pionieristici, ci buttiamo nella sfida a testa bassa. L’idea è di apportare un’ulteriore personale innovazione nella musica tradizionale friulana, guardando però anche ad orizzonti più ampi, aprendo verso riferimenti della musica folk europea e internazionale, senza perdere di vista le singolarità della musica friulana.
Nel 1997 pubblichiamo il nostro primo CD, autoprodotto, La corte di Lunas in cui accanto a rivisitazioni di alcuni brani tratti dal Primo Libro dei Balli di Giorgio Mainerio (1578), compaiono alcuni temi da noi raccolti nell’area compresa tra Barcis, Andreis, Claut, Cimolais, Erto (tutta quell’area montana posta a nord ovest di San Martino), e che compariranno anche nel CD successivo. Nel 1998 con questo album riceviamo il primo premio come miglior CD di musica folk dell’anno da parte della stampa friulana e l’anno successivo ci qualifichiamo al primo posto ex aequo al Folkontest di Casale Monferrato, allora diretto dal compianto Maurizio Martinotti. Grazie a questi primi soddisfacenti risultati iniziano anche i primi primi tour, in Italia settentrionale in particolare.
Nel 2001 esce il secondo CD Ciarandis, edito in collaborazione con l’etichetta Folkest Dischi di Spilimbergo, un nuovo capitolo che va verso l’affrancamento dai modelli della musica folk internazionale e che si concretizza in una personalizzazione e caratterizzazione del sound che diverrà il tratto distintivo del gruppo. In questo disco si evolve ulteriormente il nostro concetto di reinterpretazione della musica tradizionale friulana in chiave progressive, iniziando anche a sperimentare una forma di folk d’autore. L’album viene accolto con particolare rilievo da alcune riviste specializzate, tra cui Folk Bulletin in primis, seguito da World Music Magazine, Keltika, la tedesca Folkworld, la russa Folkbunker ed altre. Rispetto al primo disco, con questo Ciarandis iniziano anche tour più sostanziosi tra i maggiori folk festival italiani ed esteri.
Nel 2005 è la volta de La farina dal diaul, terzo capitolo della band che segna la definitiva e compiuta maturazione del gruppo in senso artistico e musicale (come ebbe a scriverne Roberto G. Sacchi). Un album a cavallo tra l’acustico e l’elettrico in cui si afferma ancor di più quella componente di folk d’autore che aveva cominciato a manifestarsi in Ciarandis. Un percorso all’interno della musica tradizionale friulana e allo stesso tempo la creazione di nuovi brani che a quella tradizione si ispirano, attraverso l’uso di sonorità e strumentazioni inusuali nello stile del gruppo, ma che ne arricchiscono e rafforzano i contenuti. La sala d’incisione vede anche la presenza dell’ex Pitura Freska, e non solo, Giorgio Zannier alla batteria, e dell’ex Teresa De Sio band, Flavio Zanon al basso fretless e al clarinetto. Prodotto ancora in collaborazione con l’etichetta Folkest Dischi, grazie a questo nuovo lavoro la band è stata impegnata in molti concerti in Italia e all’estero nell’arco di due anni, ricevendo menzioni particolari da diversi festival internazionali, tra cui il Rainforest World Music Festival of Borneo, il Festival Folk Canarias e il Woman Musica Festival di Madrid, dalla Spagna.
Nel 2017, dopo un prolungato periodo di pausa dalle scene musicali, in cui alcuni dei componenti hanno partecipato ad altri progetti musicali di folk ed etnico, il gruppo si ripresenta sui palchi per celebrare il ventennale del suo primo album, e nel 2020 si consolida nella nuova attuale formazione iniziando a lavorare al quarto CD, Barlums-Canti d’inchiostro. Pubblicato a gennaio di quest’anno sempre con l’etichetta Folkest Dischi, fin da subito questo nuovo album ha avuto un ottimo riscontro di pubblico e di critica nei concerti in cui è stato presentato finora: chissà che sia di buon auspicio per il futuro del gruppo.
F. B.: Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale friulana?
C. M.: Il rapporto che via via si è instaurato negli anni è quello di una totale e ininterrotta infatuazione, in particolare nei confronti delle melodie più arcaiche che la compongono, e per questo forse meno conosciute. Una premessa però è doverosa: quale sia la musica tradizionale friulana o che cosa si intende quando si parla di musica di tradizione del Friuli, è una questione ancora oggi dibattuta e non del tutto risolta unanimemente.
Semplificando potremmo parlare di un mosaico di forme musicali, melodie e stili, molto diverse tra loro, anche con origini differenti, che in genere rimangono piuttosto distintive delle proprie zone di appartenenza. Non formano cioè un unicum territoriale riconoscibile da tutti in ogni angolo del Friuli e percepito come proprio. Oltre a diverse vilote e cjançons di rara bellezza, quello che a noi sta più a cuore sono quelle melodie o canti arcaici di cui parlavo poco fa, che per diversi motivi si sono via via perse. La loro presenza è scarsa nella musica tradizionale friulana attualmente suonata e oggi come oggi hanno poco riscontro nell’identità musicale delle genti friulane in quanto una buona parte ne ignora addirittura l’esistenza. A queste melodie noi guardiamo con molto interesse, cercando quasi di ricucire e ricreare quel filo che si è consumato nel corso del tempo, innestandole anche nei nostri brani di nuova composizione. In fondo il nostro rapporto con la musica tradizionale è quello di una rivisitazione (talvolta anche di contaminazione), che mantenga elementi tradizionali adattandoli a contesti moderni, orientati comunque alla documentazione e conservazione di queste tradizioni musicali arcaiche che rischiano di cadere nell’oblio o di scomparire.
Certo, recuperare una parte mancante così importante della nostra musica è un tentativo quasi folle, ma essedo noi dei musicisti visionari consideriamo ogni ostacolo come superabile. In altri luoghi in Europa è stato fatto qualcosa di simile con notevoli risultati, penso ad esempio ad Alan Stivell e alla sua riscoperta di antiche melodie bardiche e al loro successivo utilizzo come base per una nuova musica bretone (anche se la Bretagna non ha avuto una vera tradizione bardica in senso stretto). E penso all’Irlanda il cui patrimonio musicale sopravvissuto in parte alla fine della nobiltà gaelica dei clan, è stato in seguito recuperato (Edward Bunting su tutti), e adattato alla nuova realtà. I precedenti e gli stimoli come vedi non mancano.
F. B.: Com’è la situazione storica e attuale della musica popolare nell’area del Friuli dalla quale provenite?
Storicamente la musica popolare di queste zone aveva una funzione sociale decisamente importante ed era molto sentita dalle genti che qui vi risiedevano. Si suonava e si cantava un po’ in tutti i paesi e villaggi dell’area montana e pedemontana, da Tramonti di Sopra fin giù a Poffabro, a Clauzetto e Manazzons verso est, e a Barcis, Cimolais, Erto a ovest, per citarne alcuni. Durante le rappresentazioni della Settimana Santa, ad esempio, a Poffabro venivano suonate le cracjules giganti (raganelle), che imitavano il suono dei martelli che inchiodavano Gesù, i trumbeti e altri strumenti idiofoni a percussione con cui si accompagnavano i canti popolari religiosi, e vi partecipava l’intera comunità. Lo stesso accadeva a Claut e a Erto, dove famosi sono i tamburi, anche per il tipo particolare di costruzione e per la disposizione delle pelli, e che accompagnano ancora oggi la rappresentazione popolare della crocifissione.
Ma a parte le ricorrenze più a sfondo religioso, non mancavano le balere e le osterie dove si esibivano i musicisti del luogo che eseguivano brani tradizionali. Come all’osteria di Manazzons in cui fino ad alcuni anni fa, un trio di anziani si ritrovava ancora a suonare violino, armonica (fisarmonica) e ghitara (chitarra), intonando arie e canti tradizionali. Erano temi legati alla vita quotidiana, ai lavori nei campi o nei boschi, un collante culturale e sociale delle comunità che si esprimeva al massimo del periodo invernale e natalizio. Purtroppo il lento ma inesorabile spopolamento delle aree montane e delle valli ha conseguentemente segnato la perdita di quelle tradizioni e le musiche ad esse legate. Solo qua e là, dato l’isolamento di alcune aree della montagna, si sono salvati alcuni temi unici di quei luoghi che non trovano riscontro in altre parti del Friuli: qualche volta la montagna è uno scrigno di sorprese.
La situazione attuale ormai vede la presenza solo di rarissimi informatori, i più anziani purtroppo non ci sono più e i cosiddetti portatori di tradizione che hanno raccolto il testimone sono sempre meno. Il più del materiale sonoro è stato già portato alla luce e solo in casi veramente eccezionali viene fuori qualche reperto dimenticato, come è successo a noi per il brano Pentina inciso nel nostro secondo CD. Per fortuna negli anni si sono formati, o ampliati, alcuni cori e cantorie che mantengono viva la memoria musicale riproponendola anche in celebrazioni ufficiali. Ci sono anche alcuni musicisti, magari non collocati in gruppi musicali strutturati, che si interessano alla diffusione delle musiche tradizionali di quest’area e lo fanno nelle occasioni di festa o nelle varie sagre, ma anche interscambiandosi per qualche evento culturale particolare, anche solo per il puro piacere di suonare.
F. B.: Passiamo a questo vostro nuovo lavoro, una sorta di concept-album, come si sarebbe detto anni fa… Da dove vi è venuta quest’idea e come è stata realizzata?
C.M.: Esattamente! È proprio un concept-album, termine forse un po’ obsoleto ma che fotografa perfettamente il nostro lavoro. Ognuna delle nove tracce presenti nel CD è stata pensata per concorrere a creare un esperienza congruente ed omogenea, definita attorno a un determinato tema, nel nostro caso i libri, ma come vedremo, non solo quelli. L’idea all’inizio è nata in modo del tutto incidentale, quando abbiamo deciso di musicare alcune poesie di rara bellezza di un’autrice straordinaria friulana, Novella Cantarutti. Dopo aver ricevuto la sua benedizione le abbiamo incise nel nostro secondo album; si tratta di Agane e di Mateç/il bal da li fadi, più la seconda strofa di Pentina di cui abbiamo parlato in precedenza.
Al terzo CD eravamo già pronti per musicare un libro, si trattava di Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg, in cui viene narrata la storia di Domenico Scandella, mugnaio di Montereale Valcellina e camerario della chiesa di San Martino di Campagna, finito al rogo nel 1601 con l’accusa assolutamente pretestuosa di eresia.
Da lì è partito l’input per creare qualcosa di più organico e in tal senso ci siamo chiesti: ma se da un libro si può ricavare la sceneggiatura di un film, perché non ricavarne dei brani musicali? Così ci siamo fiondati nell’idea di base dando fondo a tutti i libri che avevamo letto nel corso degli anni e che parlavano di luoghi, vicende, storie di donne e uomini delle terre friulane, scritti da autrici e autori non necessariamente friulani ma che avevano come trait d’union il Friuli e le sue genti.
Alla fine ne abbiamo scelti nove creando così una sorta di triplo tema all’interno del concetto stesso di concept-album: i libri in primis, i luoghi e le genti. Il lavoro più difficile è stato quello di estrarre dalle pagine di ogni libro i concetti essenziali che potessero narrare una storia compiuta senza la necessità di dover leggere per forza tutto il libro. Abbiamo dovuto selezionare alcune frasi a discapito di altre che andavano bene ma che finivano per allungare di molto il racconto: pochi elementi ma compiuti nell’economia del brano.
Per le musiche invece ci siamo ispirati a temi popolari friulani già esistenti, rivedendoli, ampliandoli con rispetto e adattandoli al libro da raccontare, trovando infine per ognuno di essi la musica più adatta alla creazione della giusta atmosfera in modo da risultare coerente con il testo. Ci siamo concentrati molto sulle melodie più arcaiche o meno conosciute di cui parlavo nella seconda risposta, e da quanto possiamo vedere dai concerti e dalle vendite del CD, la cosa ha avuto un grosso riscontro positivo: chissà mai che questo sia solo l’inizio di un recupero più ampio di quelle melodie da riportare nell’inconscio collettivo musicale friulano in modo da renderlo conscio. Parafrasando il Che siamo realisti: esigiamo l’impossibile!
F. B.: Che cosa riserva il futuro ai Braul?
C. M.: Eh… domanda da un milione di dollari… Sicuramente non ci sarà un secondo capitolo riguardo ad altri libri da musicare, ce ne sarebbero sicuramente però è sempre bene non ripetersi e guardare avanti con nuovi stimoli e con entusiasmo.
Sarebbe interessante esplorare il mondo dei mestieri, in particolare quelli in cui la persona o le persone che li esercitavano venivano considerate quasi come sacre per le comunità. Probabilmente ne verrebbe fuori un altro concept-album, il che non è per forza una cosa negativa, ma vedremo insieme senza fretta. Altrimenti c’è quell’idea di fondo, di cui abbiamo già ampliamente parlato, di una riproposta delle musiche più arcaiche, questa volta però andandole a prendere e riproporle per intero senza usarle come innesti in brani di nuova composizione.
Certamente anche un nuovo album composto da brani tradizionali inediti incorporati in nuove composizioni in stile folk d’autore è un’idea che ci intriga parecchio, e ci piace anche un progetto musicale in cui temi appartenenti al folk europeo incontrano il folk friulano, arcaico e più prossimo: perché no? Ad ogni modo quello che ci sta a cuore, la mission come va di moda dire di questi tempi, è di continuare sempre nella ricerca e di farlo in modo serio. Sono tutte idee sulle quali possiamo lavorare ma credo che le cose matureranno più avanti nel tempo, al momento ci godiamo i frutti di quest’ultimo lavoro e cerchiamo di farlo conoscere nel maggior numero di festival possibile. Dunque, direttori artistici: noi siamo qui, pronti per i vostri Festival!
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