Rod Paul, già componente di The Iron Horse, gruppo scozzese titolare di alcuni interessanti lavori, esce ora con un disco tutto suo.
L’opera merita davvero questo aggettivo, poiché egli ha composto tutti i brani (due con Lynn Morrison), ad eccezione del traditional “Bird’s Nest” che chiude le selezione, e suona tutti gli strumenti a corda, esclusi basso e violino, affidati il primo alle sapienti dita di Ken Garden, ed il secondo ad Archie McAllister e Lynn Morrison.
Gran parte dei brani, ed in particolare l’iniziale “Birlin Reel”, ricordano qui e là una Battlefield Band che incontra lo swing di Easy Club (chi ne ha memoria, ad oltre dieci anni dalle loro ultime apparizioni italiane ?).
La vena è certamente più quella elettrico-elettronica del gruppo di Brian McNeill, in particolare nel fraseggio ritmico, e negli incisi di violino, ma è innegabile il richiamo al ritmo degli Easy Club nelle sequenze guidate dagli strumenti a plettro, in particolare la mandola.
Esemplare, sotto questo profilo, “Open Door”.
La base ritmica, talvolta campionata, è discreta, e solo raramente esce di fila, facendosi invadente e male assortita con lo spirito che pervade l’opera.
Spirito che, va detto, è quello della tradizione scozzese più classica, anche se certamente approdato ai ritmi ed alle sonorità di fine millennio.
Tutti noi che tanto abbiamo amato Tannahill Weavers e la vecchia Battlefield Band faremo forse fatica ad appassionarci a questi suoni, che talvolta ci paiono un po’ estranei alla purezza acustica della musica tradizionale come sempre l’abbiamo intesa e voluta.
Ma forse è giunto il momento, pur mantenendo fermi i vecchi e sani principi, di accettare che agli strumenti elettrici si affianchino pure quelli elettronici, e che la batteria – talvolta “drum programming” come più volte appare nelle note – sia parte integrante di questa sonorità.
Forse, peraltro, persino lo stesso Rod Paul ha dubitato sull’opportunità di insistere fino in fondo nelle sue scelte, perché se è vero che la prima parte di “Birlinn” contiene sonorità e spunti certamente orientati verso il futuro, altrettanto non si può dire della seconda parte, eccezione fatta per “The Old Drove Road”.
E’ così che per un attimo il vecchio cuore acustico che per tanti giorni ha pulsato dai nostri giradischi e nelle sale da concerto fra gli anni settanta e gli anni ottanta, torna come per miracolo a far sentire il suo battito.
Accade in quello che forse è il momento più toccante di tutto il lavoro, “Loch Voil”, evocativa ballata opportunamente privata di basso e batteria e lasciata solo ai violini pieni di malinconia di Archie McAllister e Lynn Morrison ed al whistle di Rod Paul, che su un tappeto di discrete note di pianoforte intrecciano una di quelle melodie che da sola merita l’ascolto di “Birlinn”.
Stregato da questa magia, l’autore fa seguito con “Deil’s Cauldron”, medley di strathspeys e reels, come sempre abbiamo apprezzato queste arie, nel rigore acustico (pressoché impercettibile la chitarra elettrica) di un ritmo che cresce sempre di più.
E così via sino alla conclusiva “Bird’s Nest”, traditional, eseguito dal solo Rod Paul, che sovrincide, una dietro l’altra, chitarra acustica, mandolini, mandola, banjo, bodhran e tastiere.
Un disco, quindi, abbastanza eterogeneo da potere trovare apprezzamento dagli amanti della tradizione come da quelli dell’innovazione, privo di preoccupanti cedimenti, ma anche privo di quello slancio che lo possa fare levare sopra una comunque eccellente media.
Rod Paul non può assolutamente essere discusso sotto il profilo tecnico, né sotto quello compositivo, mentre merita un’ulteriore prova per poter ben comprendere quale sia la direzione che egli vuole intraprendere.
“Birlinn”, infatti, lascia aperta sia quella tracciata dai “vecchi padri” sia quella indicata dai giovani nipoti, ma indica anche come entrambe siano molto difficilmente compatibili senza rendere frammentaria l’opera.
Mauro Regis
Paul, Rod – “Birlinn” (CD)
Greentrax – CDTRAX 179, 1999
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