Che un frutto della terra mal si presti per un prodotto discografico, potrebbe essere il motivo per cui sono passati più di 12 anni tra la fondazione dei “Suonatori terra terra” e l’edizione del loro primo disco.
Siamo però sicuri che tale frutto abbia avuto tempo per maturare, sia sul piano musicale, sia su quello sociale, ambito di attività e di principale ispirazione per il gruppo. Difatti, l’impegno sociale e politico traspare già dall’immagine di copertina, carica di citazioni, di questo “combact disc – popular audio”. I “Suonatori terra terra” hanno iniziato l’attività musicale nel 1999 in Val di Sieve, e da quel momento hanno svolto un’intensa attività in feste popolari, centri sociali, circoli, case del popolo, bar, balere, manifestazioni di piazza, con la netta predilezione a suonare tra la gente e al di sotto dei palchi. Con una fisionomia da collettivo musicale, il loro organico è cambiato nel tempo e varia a seconda delle situazioni. Di conseguenza questo CD ha una lunga lista di interpreti, quanto quella dello strumentario impiegato, prettamente acustico. Ciò non ha impedito loro di acquisire una caratteristica impronta musicale, a volte un po’ bandistica e circense, come nella polka strumentale che apre il disco.
Il canto di tradizione orale e di lotta sociale, nonché la musica per la danza popolare, sono i riferimenti dell’ensemble; tali riferimenti sono personalizzati ed attualizzati specialmente nei testi, che spesso raccontano le esperienze concrete dei musicisti, a partire dai fermenti popolari delle loro colline toscane. I brani che particolarmente rappresentano questo tipo di elaborazione (che ricorda l’attività di cronaca dei cantastorie) sono “L’inceneritore di Selvapiana” che su aria tradizionale messicana racconta i momenti più surreali di un’assemblea svolta a Pontassieve per discutere del medesimo inceneritore; “Il trescone delle bande armate”, su musica tradizionale toscana e testo che si riferisce alle banche italiane coinvolte nei traffici illeciti di armi; “I ministri” che sullo stampo della nota “E lu ministre Colombo” del cantastorie Eustachio Fiore, descrive l’attuale bestiario ministeriale, lasciando l’originale ritornello, esortazione all’emancipazione culturale come strumento di rivalsa sociale (ma statevi attenti, voi della popolazione, imparatevi a leggere e a scrive’ per difendervi dal padrone), e “Il canto della piev(V)vecchia”, composizione originale sulle memorie partigiane della Valdisieve. Una parte delle tracce ripropone canti composti, rimaneggiati e raccolti tra ‘800 e ‘900, quali “Sante Caserio” (interrogatorio e ballata), “La leggera”, e “L’ pan’ pentito”. Quest’ultimo, assieme a “Stornelli a Campocozzoli” (ottave livornesi e quartine pisane) sono ripresi dal repertorio della cantante e ricercatrice Dodi Moscati. Infine, una parte dei brani è dedicata ad Ivan Della Mea (“Firenze quant’è bella – Bella turista americana”, “Lettera ad Angela”) in ricordo dell’intenso rapporto avuto con l’artista, nell’ambito dell’attiva collaborazione che il gruppo ha con l’Istituto Ernesto De Martino e coi musicisti che vi fanno riferimento. La maggior parte dei brani,
cantati o strumentali (“Chaplino” e “Il Galeone”) è ballabile, coerentemente con lo spirito festoso del gruppo. L’ascolto del disco trasmette allegria, freschezza e sfrontatezza specialmente nella piacevole preponderanza del canto femminile. Inoltre, non si può evitare di sottolineare che l’impegno di questo “collettivo musicale” rompe fragorosamente il velo di mestizia che spesso avvolge il nostro canto politico-sociale, proponendone una dimensione decisamente simpatica ed accattivante.
Mario Gennari 09/2011
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