di Tito Saffioti
Sicuramente non finiranno qui. Le ricerche di Cesare Bermani (e di altri valenti ricercatori come lui) intorno alle origini e all’evoluzione della celebre canzone non finiranno qui. Perché la storia di un canto popolare è fatta di infinite variazioni, contaminazioni, commistioni ecc. ecc.
Questo, perlomeno, avveniva fino all’invenzione del nastro magnetico, perché dopo di allora la registrazione finiva col cristallizzare in maniera più o meno definitiva la forma di una canzone, sia nella sua componente testuale sia in quella musicale. E addio trasmissione orale!
Occorre comunque ammettere che la storia di Bella Ciao è particolarmente complessa, forse anche perché la sua formazione verso il modello che noi oggi riconosciamo come definitivo, è avvenuta in anni che si ponevano al termine della guerra più sanguinosa della storia dell’umanità. Un’epoca feroce, fatta di contrapposizioni forti e di odi ancora non sopiti.
Ricostruire oggi, a distanza di poco meno di un secolo (ma, naturalmente, come sempre succede quando di parla di tradizione popolare, con origini assai più antiche) da quei tragici avvenimenti, significa confrontarsi con ricordi dei testimoni spesso fumosi e diafanizzati dal trascorrere del tempo.
Bermani ha dedicato a questa ricerca numerosi interventi e ora con questo piccolo, ma prezioso libretto cerca di fare il punto della situazione correggendo imprecisioni e aggiungendo informazioni raccolte da nuove testimonianze e da nuovi documenti.
C’è ora da domandarsi: ha raggiunto il suo scopo? È riuscito a tracciare la genealogia del canto in maniera univoca e soddisfaente? No, perché questo obiettivo è realisticamente impossibile da ottenere. Sì, perché lo scopo di chi fa ricerca è quello di aggiungere conoscenza verificata a quanto già si sa. Ogni granello di sapienza è un gradino verso il cielo, che è sempre lassù, irraggiungibile e meraviglioso, ma in grado di riflettere su di noi la sua piccola luce.
Per informazioni: www.interlinea.com
Per contatti:
Ernesto Scura dice
Caro Bermani,
quando canta bella ciao, e la canta, arrivato al
passaggio cruciale “ mi sento di morire” che
fa, sta muto o pronuncia quel gioiellino fior di
grammatica? La sua superiorità culturale vibra?
Intanto legga e se ha qualcosa da dire, o da
ridire, o da … ridere, sa dove trovarmi. Grazie
per l’attenzione
Ernesto Scura
(novantenne ingegnere calabrese di etnia arbëresh)
BELLA CIAO, INNO ALLE IDIOZIE
di Ernesto Scura
“Bella Ciao”, non solo non venne mai
cantata dai partigiani ma, addirittura,
l’attuale testo, come noi lo conosciamo, fu
adattato sulle note di una vecchia canzone
che descriveva il duro lavoro delle mondine
curve nelle risaie. Non solo le note, ma
anche il ritornello “o bella ciao” fu adottato
pari pari, tanto per completare il plagio,
dando così, almeno, un tocco di orecchiabilità
alla porzione innovativa di quel testo colmo
di strafalcioni. Dunque, “Bella Ciao”, nella
versione partigiana, fu un arrangiamento di
un canto di sofferenza per farne un maldestro
“Inno di Guerra”, anche se quelli che oggi
l’intonano, vogliono ipocritamente spacciarlo
per ”Inno di Pace”. Ecco, “Bella Ciao” è l’inno
postumo all’eroismo e alla lotta combattuta non
per la libertà ma per il trionfo del comunismo.
Giorgio Bocca, di cui nessuno può negare la
correttezza morale e la sua partecipazione attiva
alle fasi più pericolose di quella guerra partigiana
disse: “L’unica cosa certa é che nei venti mesi di
guerra partigiana non l’ho «mai sentita cantare»
(e pure gliela suonarono al suo funerale). Della
prima volta che fu cantata abbiamo un dato certo:
fu al congresso della Gioventù Comunista Mondiale
(e si ostinano a dire che non è un inno comunista),
tenutosi a Praga, nel 1947, quindi a guerra ormai
finita da due anni, intonata, a squarciagola, dai
membri della delegazione italiana, composta tutta,
esclusivamente, di giovani comunisti iscritti alla
FGCI, nessuno dei quali aveva partecipato alla
guerra di Resistenza. Fu lanciata con l’attuale
sgrammaticato testo di cui vi offriamo in’impietosa
“dissezione anatomica”.
IDIOZIE E SGRAMMATICATURE DI “BELLA CIAO”
– MI SENTO DI MORIRE (cioè “voglio morire”. Più fessi di così?)
-SOTTO L’OMBRA DI UN BEL FIORE (Per quanto bello possa
essere ditemi che ombra può fare un solo fiore?)
-TUTTE LE GENTI CHE PASSERANNO. LE GENTI ? (remoto
ottocentesco richiamo foscoliano ormai obsoleto e in disuso)
-Tutta l’invocazioe è rivolta ad una BELLA (ciao) però l’invito
a portarlo via perché si sente “di” morire é rivolto, si presume,
dalla BELLA ad un partigiano (non bello ma maschio).
-Ma l’invito a seppellirlo torna ad essere rivolto alla Bella che,
cerchiamo di immaginarla, con in spalla il partigiano morente,
s’inerpica per i dirupi scoscesi per seppellirlo su in montagna .
Ma si può essere più scemi e più scombinati di così ?
E pensare che ce lo vogliono imporre, per decreto, come
INNO NAZIONALE DELLA REPUBBLICA (delle banane).
GRAMMATICA:
sentirsi regge l’infinito senza preposizione; quindi,
è un errore dire: mi sento di morire; più correttamente
si deve dire mi sento morire.
Ernesto Scura
P.S.
NON MI DEVE NULLA PER LA LEZIONE. È TUTTO GRATIS.
MI BASTA CHE LA DIVULGHI TRA I RANGHI DELLA SUA
DISASTRATA SINISTRA.
Redazione-FB dice
Ci scusi, ing. Ernesto, dall’alto della sua superiorità intelletuale sulla disastrata sinistra, Lei ha letto il libro di Bermani?