di Fabrizio Poggi
Levon Helm leggendario batterista e mitica voce di The Band ci ha lasciati ieri 19 aprile 2012. Quando ho avuto la notizia sono rimasto senza parole, senza fiato. Ho preso la mia armonica e ho suonato con gli occhi lucidi e il cuore gonfio di tristezza “Precious Lord” la canzone che Martin Luther King stava ascoltando quando venne ucciso il 4 aprile del 1968. Che dolorosa coincidenza due grandi anime volate in cielo in un giorno di inizio primavera. Due grandi anime che seppur in maniera differente hanno toccato profondamente la mia vita. La prima volta che vidi Levon Helm fu nel film “The Last Waltz”, Mi colpì il suo ritmo da locomotiva che accompagnava l’armonica di Paul Butterfield in “Mistery Train” e la sua voce da brividi che cantava l’orgoglio di un’ altra America in “The night they drove Old Dixie down”. Furono Paul Butterfield e Levon Helm che una sera di più di trent’anni fa in un piccolo cinema di provincia diedero fuoco a una passione che si nascondeva dentro di me. Se sono diventato un armonicista lo devo a Paul Butterfield, ma se sono diventato un musicista che cerca di mettere l’anima in ogni cosa che fa, lo devo a Levon e agli altri componenti di The Band.
Levon amava dire “Se non viene dal tuo cuore, la musica non serve a nulla”. Aveva ragione. E nel suo cuore, nella sua voce, nel sound della sua batteria, del suo mandolino, della sua armonica c’era davvero tanto amore. Un amore infinito per la musica della sua terra e per le persone che in tantissimi anni di carriera hanno sempre rispettato quest’uomo del sud dolce, semplice e forte. Una forza che forse gli veniva dal padre contadino nei campi di cotone tra l’Arkansas e il Mississippi. Levon ha affrontato alla fine degli anni Novanta la sua malattia con grande forza, come un leone. E vinse. Ricordo ancora la lettera in cui Barbara O’Brian, sua manager e amica, mi scrisse chiedendomi se in qualche modo potevo contribuire ad aiutare Levon a non perdere la propria casa, l’unica cosa rimastagli dopo che le spese mediche l’avevano ridotto al lastrico. Ricordo anche di come cercasse di riprendere a lavorare e a suonare. Ma non era facile. Sembrava che il mondo della musica gli avesse voltato le spalle solo per il fatto che non riuscisse più a cantare. Il cancro gli aveva tolto quello che era il suo marchio di fabbrica: una voce in cui c’erano rock, country, gospel, soul e soprattutto blues. Levon era cresciuto ascoltando il blues di Sonny Boy Williamson e ancora oggi si sentiva spesso con Sonny Payne l’uomo che tuttora conduce il King Biscuit Time, il più famoso programma radio del mondo. Davanti alla sede della radio a Helena su un muro dell’argine del Mississippi c’è un murales con raffigurati Sonny Boy, Levon Helm e Sonny Payne. Levon aveva litigato furiosamente (ancora una volta come un leone) con i produttori di “The Last Waltz” per inserire Muddy Waters nel film. E anche quella volta vinse aiutando il grande bluesman a ritrovare una nuova giovinezza artistica. D’altronde Levon era un uomo generoso e aiutava spesso gli altri. All’inizio del nuovo millennio Levon fece ancora una volta leva sulla sua grande forza e si riprese il suo posto nell’olimpo dei grandi della musica del Novecento. Per riscattare la casa che stava perdendo incominciò a organizzare concerti nel suo granaio con ospiti di prestigio che si facevano in quattro per dargli una mano e per suonare con un musicista leggendario come lui. Piano piano anche la voce ritornò e Levon tornò ad incidere e a suonare con una voglia e una grinta che a ripensarci ora ancora mi commuovono. Aveva finalmente ripreso il suo posto tra i grandi. Era finalmente ritornato ai fasti di un tempo. Ero davvero contento per lui, ma purtroppo la malattia che sembrava definitivamente sconfitta è ritornata più cattiva che mai per portarlo via per sempre.
Nel 2007 quando andai a Woodstock per registrare con un suo amico e compagno di band, Garth Hudson, mi ero riproposto di andare a trovare Levon durante uno dei suoi ormai famosi concerti in casa. In studio di registrazione ritardammo e pensavo che mi sarei perso il suo concerto. Ricordo ancora con tanta malinconia lo sguardo di Garth che vedendomi preoccupato prese in mano il telefono e telefonò direttamente a Levon pregandolo di non iniziare il concerto sino all’arrivo dei suo amici italiani.
Questo era lo spirito di The Band essere grandi e umili allo stesso tempo.
Dopo quel concerto, a cui riuscii ad arrivare in tempo, gli regalai un’armonica.
Era un modo come un altro per ringraziarlo per tutto ciò, che pur non sapendolo, aveva fatto per me. Avevo anche programmato di registrare qualcosa con lui ma purtroppo, adesso, resterà solo un sogno.
Ciao Levon, ti porterò per sempre nel mio cuore. E quando mi sentirai suonare “Precious Lord”, sappi che se la suono è tutto merito tuo.
Grazie Levon, grazie per avermi insegnato a mettere l’anima dentro alle canzoni, e a suonare con cuore e passione come se fosse l’ultima volta.
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