E’ inutile e complicato riepilogare qui la lunga e onorata carriera dei Clannad: sono passati infatti 40 anni dal debutto discografico del gruppo irlandese e almeno 15 dall’uscita dell’ultimo album di studio, quel “Landmarks” che è valso loro l’unico Grammy Award (nella categoria “miglior album di new age”?!?). Pur non sciogliendosi mai ufficialmente, il gruppo è rimasto a lungo nell’oblio e soltanto dal 2007, dopo un’apparizione a Celtic Connection, ha ripreso ad esibirsi dal vivo con una certa regolarità effettuando un paio di tournée continentali.
Più di recente il quintetto originale si è quindi ricomposto del tutto con il ritorno di Pòl Brennan e con questa formazione si è pure ripresentato nel nostro paese per alcuni concerti.
Prima però, nel gennaio del 2011, i Clannad sono stati protagonisti di due strepitosi concerti nella Christ Church Cathedral di Dublino, ben documentati dall’omonimo DVD (EUDVD0015) pubblicato in questi giorni contemporaneamente al CD di cui sto scrivendo (che contiene però solo il resoconto della serata del 29).
Come se il tempo non si fosse mai fermato, in quell’ambiente solenne e suggestivo la magia è tornata delicatamente a sprigionarsi attraverso la musica del quintetto irlandese.
Come ha scritto tempo addietro un critico inglese, tutto si può dire dei Clannad tranne che non siano mai stati un ensemble innovativo. Sin dagli esordi nel loro Donegal e dai primissimi lavori interamente acustici, la loro rivisitazione del canzoniere gaelico, grazie a lievi contaminazioni jazz e rock e ad una certa ricercatezza negli arrangiamenti, ha sempre mostrato una straordinaria freschezza e godibilità. E quando la loro musica ha cominciato a tingersi di pop (ovvero nel periodo di maggior successo commerciale), pur sfoggiando sonorità più moderne e accattivanti, e se vogliamo talvolta anche piuttosto laccate, non ha mai perso il contatto con la tradizione e ed è stata in grado di offrire melodie di una bellezza disarmante: “Newgrange”, ovvero uno dei due brani provenienti dal magnifico “Magical Ring” (di cui mi sarebbe piaciuto trovare qui qualche pezzo in più) è uno degli esempi più riusciti.
”Christ Church Cathedral” rievoca tutto questo ripercorrendo il lungo cammino musicale dei Clannad attraverso diciannove brani provenienti dal loro ricco repertorio. Per la precisione però va detto che in questa occasione sono state recuperate soprattutto canzoni (c’è un solo strumentale, “Eleanor Plunkett”) del periodo più “folk”, quindi perlopiù cantate in gaelico e contrassegnate da sonorità decisamente acustiche. L’uso delle tastiere, che ha contrassegnato la fase pop del gruppo, è fortunatamente piuttosto limitato ad alcune canzoni più recenti e non appare affatto invadente.
Se c’è un gruppo che però ha saputo sfruttare al massimo le sue potenzialità è di certo quello dei Clannad: a mio parere i cinque irlandesi non sono mai stati musicisti eccelsi ma, per quanto più limitati tecnicamente rispetto a altri colleghi appartenenti alla stessa scena, sono riusciti a creare sin dal principio uno stile assolutamente unico e distinguibile in cui il risultato finale risulta di gran lunga superiore alla somma dei singoli elementi. A questo si aggiunga poi una vocalità stupefacente, soprattutto nei cori che sono sempre stati maestosi e evocativi: ascoltatevi il classico “Harry’s Game”, a suo tempo definito da Bono come “il suono degli angeli” e qui arricchito dalla partecipazione del gruppo vocale degli Anùna o, meglio ancora, alcuni brani privi di accompagnamento strumentale come “Dtigeas A Damhsa” e “Mhorag’s Na Horo Gheallaidh”.
Il concerto sarebbe già stato impeccabile anche grazie al solo operato dei Clannad ma a questi si aggiungono i contributi di qualche ospite fra i quali ricordo ancora Brian Kennedy (che quasi riesce a non far rimpiangere la voce di Bono nella versione live di “In A Lifetime”), della violinista Màire Breatnach e pochi altri strumentisti.
Il DVD omonimo è di buona qualità tecnica e, oltre a contenere due brani in più rispetto al CD, rappresenta il primo supporto visivo dei Clannad che contenga un’intera performance dal vivo anziché una semplice raccolta di video clip (come era ad esempio “Pastpresent” del 1989). Anche per questo è imperdibile, così come ovviamente lo stesso album.
Massimo Ferro
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