In un’intervista apparsa su “Liberazione” in merito alla serata del Festival di Sanremo dedicata a celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia, Cesare Bermani si indigna e protesta per l’occasione perduta, cioè per non aver inserito in scaletta canzoni come “Bella Ciao” o “Fischia il Vento”. Pur teoreticamente condividendo (e non potrebbe essere altrimenti), non possiamo però fare a meno di notare come quella che dovrebbe essere la parte più progressista del Paese si lasci ancora coinvolgere in queste stucchevoli disquisizioni, in questo ostinarsi a vivere fuori del mondo… Chi ha il coraggio di dire a Bermani che siamo nel 2011? Che il Nordafrica sta scoppiando e il Medio Oriente pure? Che adesso la musica si ascolta con l’I-Pod? Che di quello che è successo al Festival dei Due Mondi di Spoleto mezzo secolo fa non gliene frega niente a nessuno e che sarebbe ora di raccontare aneddoti nuovi? O di occuparsi di cose importanti e non di Sanremo? Scusate, intellettuali di sinistra, ma Sanremo è un festival di musica la cui esistenza è determinata dal finanziamento di etichette discografiche per lo più multinazionali, alle quali non importa molto di veicolare messaggi di educazione civica al popolo italiano, al di fuori di un contesto culturale peraltro inesistente. Stupirsi perché Sanremo non divulghi la cultura “altra” o perché non prenda le difese dei deboli e degli oppressi è come attendersi che Francesco Totti prima di calciare un rigore declami con voce impostata una poesia di Evtushenko e subito dopo vada al cinema a vedere tutto il decalogo di Kieslowskij portandosi dietro diecimila ultras entusiasti. Ci fa incazzare che certa sinistra sia sempre pronta a pretendere che nelle capitali del consenso spuntino i fiori della cultura alternativa e poi, quando è lei che deve scegliere e sposare delle cause, non riesca a capire la differenza di valore che esiste fra i migliori gruppi del folk revival italiano e Davide Van De Sfroos, costringendo i primi all’inevitabile eutanasia e tollerando il secondo a Sanremo. Noi Sanremo, alla faccia di Bermani, l’abbiamo visto quasi tutto (un giornalista musicale non può non farlo) e non ci ha trasmesso particolari sensazioni: ci siamo divertiti, annoiati, commossi, irritati, interessati, schifati come è normale che accada per una trasmissione di oltre 20 ore in quattro giorni… Noi sappiamo cos’è Sanremo e da Sanremo ci aspettiamo solo Sanremo. Per il resto, sappiamo come fare per contribuire a far crescere un pochino il livello culturale musicale d’Italia e lo facciamo da più di vent’anni, lavorando nell’inconsapevolezza di tutti e soprattutto degli intellettuali di sinistra.
Roberto G. Sacchi
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