di Nicola Cossar
Il tempo si ferma muto quando ascoltiamo la musica delle radici, la parola delle radici, generate da affetti devotamente custoditi, dal dolore fedele compagno di viaggio, dai troppi abbandoni e dagli avari momenti solari, ironici e giocosi: fatalismo, orgoglio, rabbia indomita e mal du vivre appartengono a tanti percorsi della nostra cultura popolare, dalle Alpi alla Sicilia, nella poesia, nel canto, molto spesso tramandati oralmente. Un patrimonio immenso che negli ultimi cinquant’anni è stato tolto dalla penombra con fondamentali studi etnomusicologici, meritorie opere editoriali e, soprattutto, concerti e dischi.
Dello straordinario ruolo svolto dalle tre Signore del Folk – Rosa Balistreri, Caterina Bueno e Giovanna Marini -, messe insieme da Dario Fo per lo storico Ci ragiono e canto, si è detto e scritto molto. Ma si è parlato poco di artisti di nuova generazione che si accostano con approccio originale – e spiazzante – al patrimonio popolare e ai suoi interpreti. Ci riferiamo a due eccellenti musiciste come Alessia Arena e Federica Bianchi, ovvero il Duo Ammatte, e al progetto che hanno dedicato al repertorio di Rosa Balistreri, l’indimenticabile voce di Licata che si è spenta nel 1990. Ne è nato un disco davvero molto bello: A piedi nudi. Un gioiellino.
Ma perché un approccio spiazzante? Perché l’omaggio viene da due giovani votate alla musica barocca, uscite brillantemente da percorsi accademici rigorosi – Alessia nel canto, Federica in pianoforte e clavicembalo -, ma che hanno deciso di guardare al folclore e al canto popolare indagandoli e interpretandoli attraverso la lente della loro formazione, perché capita che la musica barocca ritrovi le sue radici popolari e che la canzone d’autore si rivesta di antico e nell’antico si rinnovi. E così A piedi nudi rende omaggio a Rosa, artista straordinaria, in quella terra, la Toscana, che l’accolse e le diede i natali artistici.
L’operazione è brillante e coraggiosa, non è solo siciliana: assume i connotati universali della testimonianza, del racconto di tante storie senza nome, degli ultimi. Clavicembalo e pianoforte appartengono a un altro mondo, per pratiche e estetiche, eppure le nostre ragazze riescono nell’intento di restituirci il senso, l’essenza del canto e del cantare popolare, la saggezza dei cantastorie.
Nei dieci brani dell’album (con i contributi di Francesco Tomei al contrabbasso e di Rosita Helena Ippolito alla viola da gamba) troviamo la Sicilia più autentica e orgogliosa, sospesa tra narrazione e fato, nostalgia di un mondo giusto che non avremo mai, desiderio di redenzione e liberazione.
Mi votu e mi rivotu, il primo pezzo, canta del mal d’amore: Mi giro e mi rigiro sospirando, passo le notti intere senza sonno. A causa tua ora non posso più dormire, non ha più pace questo afflitto cuore. Lo struggimento d’un amore non corrisposto diventa qui poesia e Lied popolare, una storia antica come i monti dell’isola. Il dramma della vita, il mal du vivre che Rosa conosceva molto bene, cammina su Terra ca nun senti: Maledetto quel momento in cui ho aperto gli occhi in terra in questo inferno. Terra che non trattieni chi vuole partire e niente gli dai per farli tornare. L’indifferenza della terra diventa l’indifferenza dell’uomo, di ogni uomo. La voce di Alessia, dalle orgogliose e impetuose radici siciliane, qui ci affascina davvero, mentre Federica dà un tocco di modernità ritmica al cembalo cantante. Si cambia registro e intensità in Chiovi, chiovi, chiovi, divertita e divertente filastrocca bambina senza respiro per voce e percussioni domestiche. La dolorosa dignità del lavoro è il motivo conduttore di Sant’Agata, ch’è àutu lo suli, che dice fallo per carità, fallo tramontare. Tu non farlo, no, per il padrone, ma fallo per i poveri braccianti: una denuncia dei maltrattamenti e degli sfruttamenti che non finiscono mai.
Fra tutti questi brani di matrice popolare troviamo anche la Balistreri autrice: firma, assieme al grande poeta di Bagheria Ignazio Buttitta, I pirati a Palermu. Cosa resta dopo una feroce scorreria? Ci hanno rubato i colori del mare, le arance, persino il sole, lasciando alla Sicilia soltanto le lacrime. Un requiem popolare che cembalo e contrabbasso (con archetto) vestono di una solenne drammaticità.
Ti nni vai è un gioiello di vocalità, con abbellimenti, melismi e frammenti improvvisati – che Rosa apprezzerebbe davvero molto -, in dialogo con un pianoforte delicato e rispettoso. Avo’ racchiude – con il suono consolatore della viola dal gamba – la poesia della ninna nanna di ogni dove: voce, amore e preghiera accompagnano il sonno della bambina specchio dei miei occhi, faccia d’arancio che nemmeno per un tesoro io ti cambio. La tradizione danza festosa con Alessia in Oli olà per voce e piccole percussioni. Ritorna il tema dello sfruttamento con E lu suli intinni intinni: il padrone che conta i denari e il soprastante che cade di sella vanno presi a calci e a pugni per cambiare le cose e restituire dignità e umanità al lavoro. Il finale è affidato a L’anatra, leggero e trascinante divertimento a due voci scoperte.
Chiusura deliziosa per un disco che resterà. I motivi? Rende omaggio a una leggenda del canto popolare come Rosa Balistreri senza cercare una riproposta fedele del canto (inimitabile) e delle atmosfere sonore di quegli anni, ma guardando con coraggio da una originale e diversa angolazione, la musica barocca: il mondo colto che incontra – con amore e senza cercare confronti – quello popolare. Infine, ma non certo per ultimo, il grande spessore artistico delle nostre estrose (ammatte) fanciulle: Alessia e Federica, voce e strumento, sanno dialogare con bravura, eleganza, brio, luminosità, rispetto e passione. Come due nipoti di nonna Rosa che cantano e ballano a piedi nudi.
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