Ricordo il giornalista e critico musicale Sergio d’Alesio per le collaborazioni con le più significative testate di musica, da Ciao 2001 a Suono, da Keltica a Stereoplay e per diversi libri monografici dedicati, fra gli altri, a CSN&Y e Police. Una firma autorevole, quindi che ci narra l’epopea di uno dei gruppi più noti della Storia della Musica, gli Eagles. Personalmente ritengo gli Aquilotti un gruppo assolutamente sopravvalutato, ma che specialmente ha tradito un esordio fantastico e promettente con delle svolte molto… discutibili, anche se estrememente remunerative. Parlare di Eagles equivale praticamente raccontare la storia del duopolio Henley-Frey, una sorta di Lennon-McCartney d’oltreoceano che man mano che il tempo passava hanno acquisito sempre più potere all’interno del gruppo, relegando gli altri a semplici comprimari. Correvano i prima anni ’70 ed i due album degli inizi, il primo omonimo ed il secondo intitolato Desperado percorrono una strada freschissima ed affascinante, quella del country rock, già aperta da gruppi fondamentali quali Byrds e Flying Burrito Brothers. La mente spiccatamente country di Bernie Leadon dava una marcia in più insieme alla vena di Henley e Frey, spesso coadiuvati a livello compositivo da colleghi del calibro di Jackson Browne, Johm David Souther e David Blue. Lo stesso Desperado può essere considerato un concept album, ispirandosi liberamente alle gesta della banda di Bill Doolin e Bill Dalton, che seminò il terrore nel Kansas e nell’Oklaoma alla fine dell ‘800. Ed è un disco bellissimo, caratterizzato dall’avvicendarsi di ballate dolci con brani di rock duro, di canzoni tipicamente country insieme a struggenti melodie Tex-Mex. Ma tutto questo non basta: il business chiama, il Mainstream impone scelte drastiche, e a poco a poco Leadon e Randy Meisner vengono allontanati, per essere rimpiazzati prima da Don Felder (che compone fra le altre Hotel California) e poi dal rocchettaro Joe Walsh alle chitarre elettriche e l’ex Poco Timoty Schidt al basso e alla caratteristica voce in falsetto. Addio country, addio purezza: grandi hit, grandi tour mondiali, dollaroni a palate… Qualche dato indispensabile: gli Eagles hanno pubblicato (sembra impossibile ma è vero) più “Greatest hits” e raccolte che non album veri e propri, vendendo la bellezza di 150 milioni di copie ( la prima raccolta da sola ha mietuto 49 milioni di vittime…), i loro concerti dal vivo sono stati visti letteralmente da un’ Italia intera, contendendo il record assoluto di incassi a Rolling Stones e U2. Il cosiddetto “Farewell tour” dura ormai da un lustro e grazie a solo otto album, l’ultimo dei quali, chiamato “The long road out of eden”, riprende per certi versi la vena compositiva iniziale, con momenti country e ballate intimiste che ci fanno tornare indietro di una trentina d’anni. Tutto ciò viene raccontato da d’Alesio in maniera mirabile e con dovizia di particolari, contestualizzando la storia del gruppo con il “movimento” musicale del periodo, ponendo un accento assolutamente indispensabile sulle varie collaborazioni e sulle esperienze solistiche di ognuno dei sette Aquilotti. Un libro molto dettagliato ma mai pesante, una pietra miliare per l’epopea di un gruppo che, nel bene e nel male, ha scritto pagine molto importanti della Storia della Musica Moderna.