Conosciamo e stimiamo da anni l’artista libanese, capace di trasformare l’oud, il liuto arabo a manico corto che una leggenda vuole inventato da un nipote di Adamo ed Eva, in uno strumento contemporaneo, perfettamente amalgamabile con i suoni di oggi. Dopo una carriera spesa a cimentarsi con i grandi del jazz mondiale e con tutti i massimi esponenti della cultura musicale araba, con quartetti di musica classica occidentale e orchestre sinfoniche in Gran Bretagna e Germania, Rabih Abou-Khalil si lascia tentare da un esperimento ambizioso: contaminarsi e contaminare una delle più radicate culture tradizionali europee, quella del fado. Per far questo, ha trascorso alcuni mesi lavorando con il giovane cantante portoghese Ricardo Ribeiro, astro nascente di soli 26 anni ma già in possesso di una voce dalla struggente passionalità. Si è poi rivolto ad alcuni suoi vecchi compagni di avventura, come l’italiano Luciano Biondini, il fiatista francese Michel Godard, il batterista americano Jarrod Cagwin: partner collaudati e sensibili che hanno ben supportato il liutista arabo in questo suo viaggio fra i due estremi del Mediterraneo. Il risultato è senza dubbio di ottimo livello, anche se talvolta alcune scelte di arrangiamento risultano un poco forzate e il tentativo di costruire una musica nuova si risolve in soluzioni piuttosto scontate, come quella di lasciare così tanto spazio alla voce e relagare l’oud a un ruolo di comprimario di lusso. In altre parole, il fado contamina Rabih Abou-Khalil più di quanto Rabih Abou-Khalil non riesca a contaminare il fado, e questo senso unico di circolazione appesantisce un po’ le sonorità e le atmosfere tipiche della caratteristica mediterraneità del libanese, così ariosa ed evocatrice. Un disco di pregevole fattura, che non mancherà di ottenere consensi quasi unanimi per la sua eleganza e per il sentimento che riesce ad esprimere. Noi, pur apprezzandolo, rimaniamo in attesa di un altro Songs for sad women, giusto per citare uno dei capolavori del musicista, per valutarne ancor di più la grandezza artistica.
Dario Levanti
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