di Francesco Aprile
In accordo con la tripartizione del concetto di musica operata da Boezio, Musica Humana degli Enten Hitti, come riporta il sito internet della Lizard Records, è l’album mai pubblicato dal Consorzio Produttori Indipendenti che trova finalmente la sua ufficialità e che avrebbe dovuto rappresentare, in linea cronologica, la continuazione, il seguito al primo lavoro del gruppo e che dal 1998 vede la luce nel 2016, nella preziosa operazione portata a termine da Lizard la quale affianca al gruppo l’opera pittorica di Egidio Marullo, è un lavoro composto da undici brani volti a tracciare una sorta di continuità fra rituale e dimensione estetica del concerto, della performance, fra tensione particolare e universale in un raccordo di suoni e corpi che fanno del disco un percorso di sicuro interesse nelle dinamiche musicali italiane e non solo. La ricerca di una primordialità dispersa, la quale riaffiora nei suoni e nella tensione rituale del disco, è testimoniata in primis dalla messa in opera del brano Tepatzi, traccia numero sei che è in realtà un brano di iniziazione Maori. Ma cosa trasporta il percorso degli Enten Hitti dalla primordialità alla contemporaneità? La musica, per prima cosa, è per loro Humana e, dunque, in riferimento a Boezio è traccia di una armonia fra corpo e anima, espressione di un microcosmo al quale fa da contraltare un macrocosmo che nella tripartizione operata dal filosofo romano diventa Musica mundana, dell’universo. A questo punto diventa possibile sussumere la dimensione particolare dell’album a quella condizione universale del macrocosmo in quanto, con Jung, parlare con la voce primordiale, riscoprirla, significa, sì, parlare attraverso mille voci, ma è pur sempre un lavoro di recupero che può essere possibile nella sola contestualizzazione dell’opera, restituendo a questa primordialità una contingenza che è figlia del contesto, cosa che permette alla musica di trascenderlo. Il carattere humano è quello che vede trionfare la ritualità di un raccordo che non è solo diretta filiazione di quello personale, fra anima e corpo, ma di una polifonia di voci e suoni, le prime anche asemantiche – come dire, spesso incentrate sul nudo suono più che sulla parola – che aprono ogni microcosmo alla pluralità del rituale, oggi dispersa. È una vera e propria operazione di condivisione, espressione del carattere di apertura del disco in cui il gruppo riversa la dimensione rituale in quella estetico-performativa accentuando il carattere di coinvolgimento dell’ascoltatore. Nella bagarre contemporanea del pensiero unico, figlio disonesto del mondo, Enten Hitti si colloca fra lo spiritualismo ideale dei Dead Can Dance e una più accentuata componente corporea, liberatoria, fra le atmosfere più meditative dei Popol Vuh di Aguirre e la dimensione più allucinatoria dell’Aguirre di Herzog che loro recuperano in virtù di un raccordo con l’altro che è epifania dei corpi attraverso il suono. Il tutto trova un ulteriore punto d’incontro nelle opere pittoriche di Egidio Marullo in cui al paesaggio è affidata una alterità sopravveniente, sempre imminente, di segni rapidi e affastellati che richiamano la pluralità del disco e la costante possibilità dell’altro da sé.
Musiche di Pierangelo Pandiscia e Gino Ape.
Testi di Pierangelo Pandiscia e Gino Ape.
Registrato in Home Recording nel 1999.
Mixato da Tiziano Ornaghi nel luglio del 2000.
Con Pierangelo Pandiscia – chitarre, corno, voce, percussioni, cetra, Gino Ape – oboe, voce, tastiere, arpa celtica, Giampaolo Verga violino, Adriana Pulejo voce.
Con la partecipazione di Filippo Monico – batteria, Paolo Bandera – campionamenti, voce, Graziano Gatti – tromba, Giulia Barcella – violoncello, Stefano Nosari – contrabbasso, Fabiana Sandler – voce narrante, Davide Ferrari, Alberto Guccione, Lorenzo Pierobon, Simona Barbera, Anna Rispoli, Claudio Pozzi, Adriana Pulejo, Pierangelo Pandiscia – coro di canto armonico in Ulan Bator.
Mastering di Claudio Gabbiano e Vincenzo Zitello.
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