Quando un suono diventa riconoscibile, lo ascoltiamo più volentieri. E ci sentiamo meno soli, e ci orientiamo più facilmente, nel marasma di suoni quotidiani. Nell’etere e nel cuore.
I belgi Urban Trad ci hanno lasciato il segno a partire da qualche album fa (Kerua per la precisione), grazie a quell’amalgama di antico e di moderno che bene il nome della formazione recepisce e riflette e che tanto ci piace. Merito della verve polistrumentale di Yves Barbieux (soffi instancabili e ispirati, ed espirati, dentro tin whistle e flauti dritti di diverso calibro e fattura e attraverso cornamuse galiziane, tanto per gradire, e poi le programmazioni e i cori); insieme ad un bell’ensemble di strumentisti acustici ed elettrici (dal mandolino al cyster: chi vuole lo traduca, al violino all’organetto al basso e batteria, e le voci. E gli ospiti). Riconoscibilità tracciata su filiera lunga, una volta tanto: con l’Africa e la Spagna che si penetrano ben oltre lo Stretto di Gibilterra. E dal loro reciproco orgasmo centro-europeo prendono vita ovuli melodici di originale composizione e spermatozoi ritmici irresistibili. Che fanno baldoria.
Partorendo Erbalunga, Urban Trad sperimentano ennesimamente territori world di raffinata esperienza, catalizzati su un centro geografico che si libera del retaggio come pastoia e lo indossa come carta pinocchiesca da giocare alla festa dei burattini.
Per puro divertimento, insomma: tra un’eco di violino arabo e i tesori di programmazione elettronica. Senza dire niente di più: per non sovrapporci al piacere dell’ascolto discoprente. Che poi, infine, è l’unica cosa a contare. E cantare.
Giovanni Pietro Scazzola
Urban Trad – “Erbalunga” (CD)
Universal Music Belgium, 2008
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