Da alcuni anni i calendari dei più importanti folk festival italiani si arricchiscono di produzioni speciali, cioè di spettacoli – i cui costi sono interamente a carico degli stessi festival – articolati sulla collaborazione di vari artisti chiamati appositamente a sviluppare un tema comune. Una scelta piuttosto onerosa, ma che in molti casi ha raggiunto l’obiettivo di fornire una maggiore visibilità al festival e di far partecipare il pubblico all’emozione di una serata davvero unica. FB ha pensato di approfondire l’argomento intervistando i direttori artistici di questi festival.
Iniziamo da Folkest, la trentennale manifestazione friulana, che nel corso della sua storia ha fatto ricorso più volte alla realizzazione di produzioni speciali. Risponde alle nostre domande Andrea Del Favero, che in qualche caso si è cimentato anche come musicista in occasione di queste produzioni.
Puoi esporci cronologicamente le produzioni realizzate da Folkest nella sua storia o almeno le principali?
Nel 1995 “Muzika Pod Turman”, in sloveno “Musica sotto il campanile”, una serata molto densa da me coordinata, nel corso della quale demmo spazio a diversi linguaggi che interpretavano la musica tradizionale della Slavia, le valli del Natisone nei dintorni di Cividale, da sempre abitate da genti di cultura slovena (con La Sedon Salvadie, i cori Nediski Puobi e Parrocchiale di San Leonardo, Liso Iussa, suonatori di cornamusa, gli scampanatori di San Leonardo e un quartetto di musica contemporanea diretto da Andrea Rucli)
“Terra Franca di Slavia”, diretta da Daniele D’Agaro, con Tristan Honsinger, Gandhi, Cepparo, De Mattia, lo stesso D’Agaro (due volte considerato miglior ancia italiana nel referendum di “Musica Jazz”, quindi avevamo visto giusto credendo in lui), Dario Marusic, Angelico Piva, il coro maschile Nediski Puobi.
“Sulle orme dei Patriarchi”, con Angelo Branduardi, il maestro Renato Serio, l’orchestra Camerata Labacensis di Lubiana, un gruppo di musica antica, Dario Marusic e Flaviano Miani, dedicato alla musica di Giorgio Mainerio e del Cinquecento nell’area d’influenza del Patriarcato di Aquileia.
“Friulian Celtic Connection” fu invece una lunga suite che vedeva i Chieftains e Carlos Nuñez interagire musicalmente con La Sedon Salvadie nell’interpretazione di una serie di brani della tradizione popolare locale.
“La neve di Anna e altre storie” è invece legata alle fonti di Venchiaredo, un magico luogo cantato dal Nievo e da Pasolini, incastonato nella pianura della Destra Tagliamento. Invece di fare la solita celebrazione celtica abbiamo pensato di dedicare la serata ai racconti e alla musica, alla luce delle torce, in mezzo agli alberi, vicino alla fonte, coinvolgendo Luigi Maieron, che aveva appena pubblicato un suo racconto autobiografico.
Ce ne sono state diverse altre, ma direi che queste sono le più significative, visto lo stretto legame con il territorio.
Quali fra queste ti suscitano i ricordi migliori?
Muzika pod Turman, perché siamo riusciti a realizzarla proprio come l’avevo sognata, Terra Franca di Slavia per la piacevole follia che ci accompagnò in quei giorni, Friulian Celtic Connection per la grande unità d’intenti con i Chieftains e Nuñez. tra l’altro lo scorso anno, in occasione della trentesima edizione del festival, è stata ripresa, ampliandola, al Castello di Udine.
Dal punto di vista dell’impegno organizzativo, quali sono gli ostacoli maggiori da superare quando si allestisce una produzione?
Prima di tutti serve avere una buona idea… Poi direi i costi, le necessità logistiche e, non ultimo, la fase di trasformazione della pura materia musicale in uno spettacolo con i giusti suoni, le giusti luci e i tempi corretti, perché è questo che alla fine la gente si aspetta.
Spesso un certo individualismo è caratteristica comune di molti artisti. Come li si può aiutare a liberarsi dall’egocentrismo e farli collaborare a un progetto comune?
Servono idee chiare all’inizio, talvolta non sono necessari tanti soldi, basta avere l’idea vincente! Di fronte a un progetto ben strutturato, con ampi spazi per poter dire la sua, con un’onesta retribuzione professionale, non credo che nessuno si tiri indietro.
Una produzione richiede spesso uno sforzo immane di coordinamento, di allestimento, di regia. Il gioco vale sempre la candela?
Dipende dagli obiettivi che ti poni. Se il festival, come dovrebbe essere, per ritenersi veramente tale, intende scendere sul campo della produzione degli spettacoli e non solo dell’acquisto dei vari pacchetti, indubbiamente sì.
Le attese di visibilità, in termini di pubblico e di eco stampa, sono state rispettate?
Ritengo di sì, anche se spesso le difficoltà maggiori vengono dal dover spiegare ai giornalisti e ai conduttori radiofonici il senso del progetto.
Una produzione può anche diventare un disco e/o un video. Nel vostro caso questo è successo e se sì, quali ne sono stati gli esiti?
Sempre positivi: dalle oltre trentamila del disco sul Cinquecento Friulano, via via a scendere… E’ sempre e comunque importante lasciare una traccia di quanto si è creato, a futura memoria.
Fuori dai denti: le produzioni costano, e non poco. Visto che il vostro festival è finanziato con denari pubblici, sinceramente hai la coscienza pulita o pensi che si sarebbe potuto spendere meglio o spendere meno?
Assolutamente sì, anche perché non li abbiamo certo sprecati: nei casi citati sopra si è trattato anche di una promozione della cultura locale attraverso la presenza di artisti di caratura nazionale e internazionale. E poi, come dicevo prima, un festival che si ritenga adulto deve confrontarsi su questo terreno. Altrimenti rimane una rassegnetta di provincia. A meno non si tratti a sua volta di un qualcosa di tematico legato al territorio di svolgimento e alla cultura di riferimento.
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