Lorient. Per chi ha frequentato il mondo del folk, del suo revival, in questi ultimi trentanni, Lorient ha rappresentato una meta imperdibile. Un modello di festival costruito in fondo non solo sulle persistenti mode “celticheggianti” nel mondo degli appassionati del folk, ma anche sul tentativo di ridare forza, spessore ed importanza alle ricche e particolari culture di alcune regioni/nazioni come la Bretagna, la Scozia, l’Irlanda, il Galles, la Galizia, le Asturie, … E questo malgrado un collante, quello della “cultura celtica”, che se nella realtà risulta storicamente ancora non “pervenuto”, fornisce tuttavia una buona occasione per far pesare massimamente la differenza tra le culture e le nazioni (Francia, Inghilterra, Spagna, …).
Il festival interceltique – nell’anno dedicato a due altri territori “celtici” meno conosciuti, l’Isola di Man e la Cornovaglia – ha riempito Lorient per dieci giorni, dal 7 al 16 agosto, con concerti, parate, cantate, esposizioni, animazioni, concorsi, incontri culturali e sportivi, feste a ballo,… Di tutto e di più, come solo Lorient probabilmente può offrire…
Personalmente il mio intento, nel breve soggiorno a Lorient, non era quello di fare un reportage dei concerti visti – troppo pochi per dare un giudizio qualitativo – ma di riportarne il clima umano, di scrivere qualcosa sulle sensazioni che il festival interceltique lascia nella memoria. Anche perché Lorient è solo una tappa di un viaggio più articolato attraverso festival e feste in Bretagna.
Non si può innanzitutto parlare di Lorient senza raccontare le tante lingue che si intrecciano, che si ascoltano nei luoghi di ristoro, passeggiando tra gli stand, parlate da astanti stanchi dopo i chilometri percorsi o da “camerieri” autoctoni dei ristoranti gallesi, asturiani, galiziani, bretoni, irlandesi, …. Non si possono non citare i tanti stand in cui si ritrovano insieme sia coloro disposti a comprare qualunque gadget riporti un triskell, sia coloro che vanno alla ricerca di quello specifico disco o di quella specifica partitura introvabile nel proprio paese. Questa eterogeneità di persone diverse, dai turisti improvvisati del primo anno agli appassionati habitué cultori delle tradizioni, da chi vede la Scozia in ogni cornamusa a chi di ogni chanter riconosce provenienza e costruttori, è forse la cifra più caratteristica del festival. Festival che si adatta a tutti, che non ha pretese di privilegiare il ricercatore sul turista, che offre cibo per ogni gola, a partire da quello spettacolo (nuit interceltique), imperdibile e volutamente eccessivo, che ogni anno racconta le nazioni, le musiche, le danze del “mondo celtico”, fino ai concerti meno frequentati, dove si possono finalmente scoprire nuovi talenti o confermare previste virtù musicali.
Lorient è tutto questo. E tutto questo è ben rappresentabile dalle Fest Noz ufficiali: piene, confuse, interminabili, in cui tutti possono danzare senza essere allontanati perché turisti o esaltati perché danzatori provetti.
Nel cerchio, nei gruppi di danzatori, c’è di tutto. Alcuni che ballano bene ma sono “frenati” da chi il passo lo conosce solo perché appreso in un breve corso. Poi ci sono quelli che i passi vogliono impararli lì, alla Fest Noz, senza preoccuparsi del proprio impatto sugli altri danzatori. E non manca chi vuole solo partecipare all’emozione del momento, senza interesse ad imparare alcunché. Il risultato è un cerchio instabile, ma illuminato dell’emozione di partecipare ad un evento. Lorient è anche questo: l’emozione di esserci, comunque.
Ed è un’emozione che – concludendo questo breve racconto del festival – vale il biglietto di ingresso (che tra altro per i momenti di Fest Noz e per diversi concerti costa veramente pochi euro) e per noi italiani il lungo viaggio in una delle regioni, a livello culturale ed ambientale, più belle d’Europa.
Tiziano Menduto