di Felice Colussi
Se io avessi previsto tutto questo, il bel box di canzoni di Francesco Guccini dello scorso anno, sembrava aver messo un punto fermo alla carriera, o meglio alla fine della carriera del gigante emiliano. Gran bel cofanetto, anche se nulla di nuovo era apparso sotto la luce del sole.
Alla fine del 2017 ecco invece la sorpresa, questo L’ostaria delle dame, pubblicato in due versioni, una in due CD e l’altra più ampia in 6 CD, che presenta ben tre concerti tenuti nella leggendaria osteria musicale bolognese, nel gennaio del 1982, del 1984 e del 1985, il tutto corredato da un volume di ottanta pagine con fotografie e scritti. Un Guccini nella sua forse più naturale veste di cantastorie. Dobbiamo ammettere di aver atteso un bel po’ prima di recensire questo disco. Erano uscite molte recensioni, a ridosso della pubblicazione e tutte più o meno, come da malvezzo della stampa italiana, riprendevano le parole dell’ufficio stampa, osannando l’operazione.
Guccini e Flaco Biondini insieme sono un motivo più che sufficiente per giungere all’acquisto di un disco, non c’è dubbio, ma la domanda che ci frullava in testa era se gli anni non avessero posato un’inesorabile velo di polvere sulle tracce di questi dischi.
Invece vi dobbiamo confessare che dall’inevitabile inizio con Canzone per un’amica, scorrendo per Osteria dei poeti, Ti ricordi quei giorni, Bologna, Venezia, proseguendo con Canzone di notte n.2, Bisanzio, La Canzone dei dodici mesi, e giungendo alla conclusione del primo disco con una composizione giovanile del nostro, Il treno va, un rock’n’roll targato 1959. E poi ancora Autogrill, subito seguita da Auschwitz, Argentina, Il vecchio e il bambino, passando poi al repertorio Sudamericano tipico di Biondini, con una Chacarera cantata in spagnolo, subito seguita da Yo quiero un caballo negro, terminando con Un altro giorno è andato. Il tutto condito da una serie di frizzi e lazzi, come quelli che ci avevano fatto amare a dismisura Opera Buffa n° 1, che proprio all’Ostaria delle dame era stata registrata.
Un vorticare di idee musicali e stimoli di riflessioni, come soltanto una generazione ormai andata di cantautori (neologismo tutto italico!) seppe fare per un bel po’ d’anni…
Tutto ciò che resta, nella vanità dell’epoca dei talent, sono un pugno di straordinarie canzoni e dischi come questi.
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