Giancarlo Schizzerotto ci ha lasciati nel 2012, dopo aver lavorato per lunghi anni alla stesura di questo volume. Un volume altrettanto corposo come quelli cui ci ha abituato la sua straordinaria capacità di lavoro e l’altrettanto straordinaria acribia e profondità di documentazione. Dopo una laurea in Lettere presso la Normale di Pisa, egli ha diretto la Biblioteca Classense di Ravenna e poi la Comunale di Mantova, ma importante è stata anche la sua attività di studioso che ha prodotto, fra l’altro, anche un importante volume sul più noto (ma anche il più sfuggente all’indagine storica) buffone di corte italiano, il Gonnella.
Già il sottotitolo del volume chiarisce con precisione la funzione dello scherno, che è sostanzialmente quella di rafforzare la propria identità contrapponendosi agli “altri”. La derisio dei nemici è un esercizio al quale si sono dedicate le popolazioni di ogni tempo e di ogni luogo proprio per riconoscersi in una comunità il più possibile coesa. Ecco dunque che per questo fine i bersagli possono essere i più vari: gli invasori provenienti dai Paesi più lontani, ma anche gli abitanti dei paesi vicini, o addirittura gli stessi concittadini dai quali ci separa la fede politica (guelfi contro ghibellini, bianchi contro neri…), il tifo sportivo (e qui basta pensare ai contradaioli senesi) o qualsiasi altra ragione.
In affetti, gran parte del volume è incentrato sulle dispute tra le comunità del centro Italia, soprattutto toscane (Pisa, Firenze, Siena) in età comunale e in questo ambito impressiona la quantità di riferimenti storici, letterari e folkloristici che l’autore ha raccolto da una infinità di fonti, sempre attentamente controllate e appropriatamente usate.
A noi è capitato di trovare solamente una lacuna che ci ha sorpreso, perché la questione è ormai risolta almeno dalla metà degli anni Cinquanta, grazie soprattutto all’intuizione del grande etnologo Ernesto de Martino. La poniamo nuovamente qui al solo scopo di aggiungere un granello di conoscenza in più. Lo Schizzerotto cita una celebre filastrocca che recita: “Maramao perché sei morto / pane e vin non te mancava…” Ipotizzando che il protagonista possa essere Fabrizio Maramaldo. In realtà la filastrocca imita un antico canto funebre abruzzese nel corso del quale la prefica così si lamentava: “Mara maje e scure maje, / tu sì muorte e je che fazze?” (Povera me, scura me, / tu sei morto e io che faccio?) www.olschki.it
Tito Saffioti
Lascia un commento