MARZO 2010 – INTERVISTA A CUORE APERTO
Gigi Bresciani, da Music On a Geomusic: trent’anni di folk e amicizia
“Sono quello di sempre, con pregi e difetti, conscio di aver contribuito molte volte a regalare un’occasione di crescita a tanta gente, e sempre più desideroso di accrescere le proprie conoscenze culturali e di ampliare la cerchia degli Amici, quelli veri”.
a cura di Roberto G. Sacchi
Ci siamo conosciuti ai tempi pionieristici di Music On, del Folk Studio Group di Saronno e di Folkitalia, nel cuore degli anni Ottanta. Cosa ti è rimasto di quell’esperienza e cosa, invece, è andato irrimediabilmente perduto?
La consapevolezza di avere avuto la fortuna d’incontrare un personaggio come Paolo Nuti (e doverosamente aggiungo Roberto Gritti a Zanica) e la sua famiglia, dediti totalmente alla promozione della Musica, con tale entusiasmo ed energia che talvolta oggi mi vengono meno. Al suo fianco ho maturato un modo di concepire quello che poi sarebbe diventato anche il mio lavoro, che credo possa essere un elemento di distinzione da molte altre agenzie. Pur conscio dei doveri che un’attività impone, ricerco con sempre maggior insistenza, quei rapporti umani con gli artisti che ti permettono di crescere in tutti gli altri aspetti. L’onestà, la spontaneità e l’energia di Paolo sono stati per me, e credo per tutti quanti hanno vissuto accanto a lui, una invidiabile lezione di vita. L’eredità che ha lasciato, un obbligo morale.
Come definiresti, in poche parole, il territorio della provincia di Bergamo sul quale principalmente operi? Nei decenni della tua attività come lo hai visto mutare in termini di interesse?
Chiuso, poco ricettivo un tempo; grazie ad un’intensa e qualificata attività da parte mia e di altri operatori, ora vanta un pubblico molto maturo e aperto a qualsiasi proposta. Non nascondo che rimangono i problemi comuni ad altre zone e che è sempre difficile imporre scelte artistiche, ma devo ribadire la crescita continua e una certa attiva partecipazione agli eventi. Il problema riguarda semmai le istituzioni, non sempre sensibili a stimoli culturali ma protese alla promozione di eventi d’intrattenimento che hanno spesso riscontri numerici piu’ consistenti. Soprattutto con le iniziative estive, che ci portano maggiormente a contatto con loro, stiamo operando per una qualificazione anche in questo senso. E i primi risultati affiorano.
Trent’anni fa il folk parlava soprattutto inglese, gaelico e bretone. Poi è arrivata la world music. Oggi, ma non soltanto da oggi, anche in Italia vantiamo artisti di caratura internazionale. Come hai assistito, da appassionato e da addetto ai lavori, a questa fase evolutiva?
Per il mio background culturale, per scelte di lavoro sono considerato un “esterofilo” e per ignoranza non conosco appieno lo stato di salute della scena italiana. Di formazione anglo-americana, solo da alcuni anni hop prestato attenzione ad artisti italiani e mi sono convinto che abbiamo una realtà che non ha affatto nulla da invidiare a tutte le altre nel mondo. A volte mi sorprendo nell’ascoltare dischi (noi vecchietti siamo molto legati a quest’espressione, che andrebbe letta “CD” o altro supporto) che sono piccoli o grandi capolavori, ricchi di freschezza e, probabilmente (lo dico sempre a Riccardo tesi o Elena Ledda, per citarne due tra i più conosciuti) troppo “belli” per il nostro mercato. E’ un modo per sottolinearne la bellezza. Mi piace constatare quotidianamente che esiste una miriade di grandi talenti in Italia, più o meno legati ad espressioni della terra d’origine. E la loro creatività contribuisce non poso ad alimentare il mito dell’Italia e degli italiani all’estero. Sarò più felice il giorno in cui si tradurrà anche in uno scambio più consistente con gli altri Paesi; ora sembra quasi che il tutto sia relegato ad episodi fortuiti più che ad un evro riconoscimento del valore dei nostri. Artisti. E qui il discorso si farebbe molto lungo e dovremmo anche farci un grande “mea culpa”!
Da poco hai intrapreso una nuova avventura: Geomusic. Ce ne vuoi parlare, soprattutto per illustrarci se si tratta di una continuazione delle tue precedenti esperienze o piuttosto di una nuova impostazione di lavoro. O magari di un ritorno alle origini?
Ad un certo punto della nostra vita ci si ferma un attimo, si riflette e si cerca di fare un primo bilancio e, se possibile, di tracciare un programma per quel che si pensa ci resti da vivere. Lo scioglimento di un sodalizio come la Frame Events, nel momento forse migliore della sua vita, è la diretta conseguenza di questi ripensamenti e ragionamenti. Una scelta di vita, da farsi accanto a quanti condividono le tue opinioni e abbracciano un progetto. Senza rinnegare quanto fatto in precedenza e con mille ringraziamenti verso colui che ha condiviso il lavoro negli ultimi anni. Essenzialmente la Geomusic prosegue in modo naturale i progetti perseguiti in precedenza, ma con un atteggiamento più consono a questa mia nuova filosofia, più matura. Come potrei cambiare radicalmente dopo una vita spesa in un certo modo e al servizio di un lavoro o “missione” che mi appassiona sempre di più? In parte ci sto provando.
In tanti anni, hai organizzato direttamente centinaia di concerti e centinaia di tour professionali di artisti provenienti da ogni parte del mondo. Forse non sarà originale, ma è inevitabile chiederti quali sono gli spettacoli che ti hanno più soddisfatto e quelli che invece ti ha lasciato un po’ perplesso? Preferisco ricordare alcuni episodi particolarmente significativi e lasciare nell’oblio le amarezze. Quelle sono legate soprattutto a rapporti con alcuni artisti. Il primo concerto, quello con Robbie Basho e quello successivo con un Jack Hardy d’annata, in una sala cinematografica che aveva programmazione porno, e quindi con palco improvvisato e locandine dei film pudicamente coperti; concerti legati alla Windham Hill, con uno strepitoso Michael Hedges; le prime performance in Italia di Suzanne Vega, Richard Thompson sino all’ultimo arrivato, quel Paul Brady tanto atteso. Ma anche quelli passati nell’indifferenza ma magnifici della bretone Kristen Nogues e di mille altri paladini.i ricordi sono legati anche a situazioni umane instaurate con l’uno o l’altro artista, e in questo senso come posso dimenticare l’ultimo concerto di John Martyn in bergamasca, pochi anni fa, e soprattutto quel suo grande abbraccio quando l’ho incontrato sulla carrozzella all’aeroporto! Emozioni che ti arrivano dirette al cuore!
Tempo fa, durante una chiacchierata a cuore aperto, mi hai confidato della delusione che provi vedendo che quello “zoccolo duro” di pubblico che fino a pochi anni fa trasformava in successo ogni tua iniziativa, oggi sembra invece piuttosto disperso e disgregato. Pensi che esistano delle ricette per “guarire” questa malattia, che speriamo essere transitoria?
Talvolta mi accorgo che mi è difficile allontanarmi la sera da casa per andare al taluno o talaltro concerto; le energie d’una volta (e non mi sento vecchio) hanno lasciato il posto ad un certo rilassamento che condivide il compiacimento di un momento di tranquillità con i “doveri” familiari. E’ forse la più plausibile delle giustificazioni a certo “assenteismo”; l’altra dovrebbe essere ricercata in quanto anche noi proponiamo. Stiamo cercando un certo rinnovamento anche in quest’aspetto e il frutto, probabile, si spera che sarà anche un pubblico più diversificato. La televisione e quanto certi mass media ci propongono fa il resto. Il nostro dovere è quello di proporre alternative.
Ultima domanda, dedicata al tuo progetto più ardito e di maggior successo, “Andar per Musica”. Immagino che tu sia giustamente orgoglioso di questa tua creatura, ma raccontaci come si è evoluto il festival in questi tre decenni: quanto è cambiato lui e quanto è cambiato Gigi Bresciani?
La rassegna è nata 25 anni fa caratterizzata da concerti di musica “classica”. Grazie a scelte culturali successive si è trasformata in una kermesse di musica celtica e poi di musica etnica in generale, con la connotazione “rassegna internazionale di folk contemporaneo”. Ciò ci consente di spaziare a 360° nell’universo musicale. Oggi è un contenitore che ha notevoli potenzialità promozionali, culturali e turistiche; si avvale anche di un indotto importante come l’aeroporto internazionale di Orio al Serio, in Bergamo, e offre dunque più di un’occasione di intrattenimento “intelligente”. Come tutte le opportunità del genere, vive le contraddizioni e difficoltà dei tempi nostri ma resiste grazie all’aiuto degli enti che vi partecipano e di tutti i protagonisti. Il grande concorso di pubblico fa il resto. E Gigi Bresciani? E’ quello di sempre, con pregi e difetti, conscio di aver contribuito molte volte a regalare un’occasione di crescita a tanta gente, e sempre più desideroso di accrescere le proprie conoscenze culturali e di ampliare la cerchia degli Amici, quelli veri.
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