ALA BIANCA CVLD 162, 2008 – CANZONE D’AUTORE, FOLK/RUSSIA
Cosa si può definire autenticamente popolare, almeno nell’accezione con cui tale definizione viene usata su queste pagine? È questa una domanda che da sempre anima discussioni, che porta alla creazione di teorie definitorie e di categorie, entro cui inserire i generi, gli stili, gli stessi interpreti. Da parte nostra, volendo portare un esempio di cosa noi intendiamo per popolare, uno dei nomi che indicheremmo è sicuramente quello di Volodja. Vladimir Vysotsky (questo il suo vero nome) nasce nel 1938 nell’URSS di Stalin. Negli anni del dopoguerra si afferma come uno dei più importanti attori del teatro russo. Egli è anche poeta, ma i suoi versi, che raccontano di perdenti e di emarginati, di soldati e operai, e che mettono in luce tutte le difficoltà e le contraddizioni della società sovietica, suonano immediatamente scomodi alle autorità, che dapprima lo ignorano, poi -usando la stampa ufficiale- lo avversano e, infine lo sottopongono a un’esplicita censura. Così egli, per poter continuare a raccontare le sue storie, aveva cominciato a musicare i propri versi e a eseguirli alla chitarra, di fatto diventando un cantastorie. Grazie a esibizioni e registrazioni semi-clandestine le sue canzoni circolano tra la gente, dapprima nella capitale, poi in tutta l’Unione Sovietica, ed egli diventa la più amata e popolare delle anime critiche dell’URSS. Il suo matrimonio con l’attrice francese Marina Vlady gli consente di ottenere il passaporto, grazie al quale può incidere dischi in Francia e Canada, ed essere conosciuto anche dai pubblici europei e americani. La sua morte, avvenuta il 15 luglio del 1980 per un infarto, viene ignorata dall’informazione ufficiale, ma il grido Volodja è morto in breve corre per tutta Mosca, così che ai suoi funerali partecipa oltre un milione di persone. A Volodja e ai suoi versi è dedicato Il cantante al microfono, in cui sono proposte 11 tra le oltre 700 canzoni scritte da Vysotsky, tradotte in italiano da Sergio Secondiano Sacchi e scelte da Eugenio Finardi e Filippo Del Corno. Di grande spessore e intensità le interpretazioni di Finardi, sostenute da una tensione emozionale che da subito si trasmette all’ascoltatore, ed a cui successivi e più attenti ascolti aggiungono la forza dei versi volodjani, esaltati dalla raffinata l’orchestrazione curata da Del Corno. Di elevatissima qualità infine le esecuzioni (dirette da Carlo Boccadoro) di Sentieri Selvaggi, gruppo tra i più interessanti dell’attuale scena musicale, operante in quella zona di confine tra jazz e musica classica.
Marco G. La Viola
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