Dal 1987, Felmay è uno dei “marchi” discografici più importanti d’Europa nello scenario della musica roots, folk, jazz, minimalist e world. Uno dei due titolari, Beppe Greppi, ha accettato di rispondere alle nostre domande.
a cura di Roberto G. Sacchi
78 e 45 giri, poi 33 giri e cassette, poi Cd e Dvd e blue-ray, e clouds…, you tube e i-tunes e … La storia recente della musica registrata come prodotto commerciale assomiglia al grafico di un elettrocardiogramma impazzito. Qual è il presente e il futuro del mercato della riproduzione musicale?
Hai detto bene, negli ultimi anni abbiamo dovuto affrontare un furioso ed inarrestabile cambiamento dei metodi di ascolto e diffusione della musica registrata. Alcune tecnologie si sono rivelate un successo, altre meno come i Dvd ed i Blue-Ray, il MiniDisc (supporto consumer) e il Dat (supporto professionale) sono spariti in un attimo. E’ bene tenere presente che tutti questi cambiamenti tecnologici sono e sono sempre stati un “diktat” deciso dagli interessi economici delle grandi corporations e dei grandi gruppi industriali. Il CD, ad esempio, era pronto e funzionante molti anni prima del suo utilizzo commerciale ed è rimasto volutamente in fondo ad un cassetto finché non si sono risolte le beghe sui brevetti e sugli standards tra Europei e Giapponesi, finchè la BASF ha deciso di riconvertire le fabbriche europee di nastri magnetici, finché le majors non si sono attrezzate per la riconversione dal vinile, realizzando così uno dei più colossali affari della loro storia. In tempi più recenti è arrivato il digitale e certamente iTunes ha generato grossi introiti per Apple, ma non è qui dove stanno i soldi veri: un brano scaricato da iTunes costa qualche decina di centesimi, un iPad (o iPhone o tablet ecc.) costa centinaia di euro e la musica ormai si ascolta su queste costose apparecchiature che vengono prodotte dai bambini asiatici ad un costo irrisorio.
Spesso la tecnologia, spinta come una irrinunciabile modernità e ammantata di fascino modaiolo, si rivela un business miliardario per qualcuno ed una costosa corsa all’adeguamento per altri. Tutto ciò senza demonizzare queste recenti tecnologie che hanno vantaggi pratici, impensabili fino a poco fa: la possibilità di accedere facilmente ad un’offerta musicale sterminata, la possibilità di scaricare/ascoltare ovunque uno voglia, il risparmio di spazio fisico ecc. Tra gli svantaggi, almeno per me, la scarsa fedeltà audio dei files digitali super-compressi e l’uso ormai comune delle cuffiette, tutta roba che uccide gli sforzi che facciamo in studio di registrazione per avere un ascolto di qualità.
Ma per rispondere alla tua domanda: accanto ad una microscopica ripresa del vinile, il presente vede innegabilmente un ripiegamento del supporto CD a favore del digitale.
Il tanto sbandierato sorpasso del digitale sul CD fisico in realtà non c’è stato completamente. Solo in USA le due quote sono quasi alla pari. Ma anche il digitale a sua volta ha subito una grave battuta d’arresto, anzi un costante calo, circa il 20% negli ultimi due anni. Infatti è incalzato da più recenti sistemi, sempre via internet, come Spotify, Deezer, il cosiddetto streaming: non si scarica il brano musicale, si accede solo all’ ascolto gratuito dopo uno spot pubblicitario o decidendo per un abbonamento mensile di pochi euro che dà accesso (evitando la pubblicità) ad una biblioteca di 30 milioni di brani. Ma è notizia dell’ultimo minuto che Spotify, incalzata dalla concorrenza dell’americana Beats Music, eliminerà la formula a pagamento, quindi ascolto totalmente gratuito da qui a poco.
E’ ovvio dire che i diritti percepiti da questi sistemi sono per noi pari quasi allo zero.
Tutti processi inevitabili dal momento in cui la musica è stata digitalizzata.
E tra poco i libri (ed i loro editori), mi spiace dirlo, faranno la nostra fine: una volta digitalizzati i libri (eBooks et similia) nessuno li comprerà più e saranno preda dei pirati esattamente come è successo per i CD.
Di fronte a questi continui cambiamenti il futuro è estremamente nebuloso. Certamente una delle tendenze è quella di non occupare più spazio fisico e probabilmente si proseguirà in questa direzione: clouds per immagazzinare tanta musica ma non a casa propria, CD super-super capienti (c’è un recente brevetto australiano) capaci di contenere immense discografie in un unico supporto. Poi immagino che ci sarà uno sviluppo accelerato dei canali video abbinati alla musica, come YouTube per intenderci, e l’uso che se ne potrà fare in prima persona. E poi chissà …
Cosa c’è di vero e cosa di falso nei necrologi per il Cd che si leggono da più parti?
I grafici delle vendite dimostrano un preoccupante calo delle vendite del CD, temo inarrestabile. Non credo nella sua morte improvvisa, sarà piuttosto una lenta agonia. Leggo questo fatto non tanto come legato all’obsolescenza di un supporto fonografico in sé quanto a diversi fattori che ne hanno decretato il declino.
Indubbiamente la crisi economica è un fattore determinante pesantissimo, tuttavia i siti pirata, la copia privata, lo scaricamento gratuito da internet da anni danneggiano enormemente chi investe nella nostra attività. Nell’immaginario collettivo la musica è diventata un bene che non merita l’apertura del portafoglio, si può avere gratuitamente senza alcun rischio penale, perché pagare? Un fenomeno impossibile da contrastare efficacemente, specie in Italia che detiene questo triste record in ambito EU.
Un vero peccato che la gente non consideri quanti posti di lavoro siano stati tagliati grazie a questo malcostume. E’ stato calcolato che negli ultimi due anni in Italia siano andati persi quasi 30.000 posti di lavoro nell’indotto musicale. Ogni disco scaricato gratuitamente o copiato taglia direttamente qualche ora di lavoro e qualche euro a musicisti, lavoratori ed imprese. E’ una decisione che ciascun acquirente assume in prima persona, anche se non troppo consapevolmente.
In alcuni Paesi europei si sono iniziati passi per contrastare il fenomeno proprio considerando la valenza anche economica delle attività legate alla musica e ci sono stati risultati incoraggianti. Ma noi siamo in Italia, unico paese in Europa senza una legge sulla musica promessa da decenni e mai realizzata. Siamo con l’IVA al 22%, unico paese in Europa che tassa la musica registrata come le pellicce di visone, i SUV, gli articoli di lusso.
Su tutto il crollo della curiosità intellettuale ammazzata da vent’anni di oscurantismo culturale e di veline televisive. Naturale che in questa situazione la musica (ed i supporti ad essa legati) abbia perso importanza e sia stata declassata a sottofondo da ascensore o prodotto usa e getta che si ascolta (gratis) e si sostituisce subito (gratis) senza la minima attenzione.
Io invece continuo a pensare che la musica, qualsiasi musica selezionata dal proprio gusto estetico, sia un bene inestimabile per l’animo umano ed in quanto tale meriti un prezzo ragionevolmente abbordabile per tutti. Dal momento che produrla costa, come qualsiasi altro bene, materiale o immateriale.
Se veramente il Cd ha gli anni contati, perché tutti – majors e indies, artisti professionisti e dilettanti – continuano a produrne?
Perché è una tecnologia tutto sommato a costo non eccessivo perfino per il dilettante, fatti salvi i costi di registrazione. Perché il CD è un “biglietto da visita” tangibile per la promozione di un artista. Perché la distribuzione fisica della musica è ancora organizzata su questo formato (gli scaffali dei negozi ad esempio) e l’hardware (il lettore CD) è uno standard diffusissimo ormai a basso costo, dall’automobile (ancora per poco) alle case di ciascuno di noi. Perché è controllabile per l’aspetto più meramente economico, dai diritti legali alla vendita fisica, e non fuori controllo come il digitale che meglio si presta alla pirateria, alla rendicontazione fraudolenta, al latrocinio dei diritti di musicisti, autori ed editori. Ed infine perché suona bene.
In conseguenza di quanto hai risposto alle precedenti domande, come si sta attrezzando e cosa farà la Felmay nel 2014? E nel 2020?
Nel 2014 continueremo pervicacemente e incoscientemente per la strada fin qui percorsa. E’ importante non fermarsi, perciò abbiamo già messo in calendario molti nuovi titoli che amplieranno ulteriormente il nostro catalogo, un fatto questo molto importante per avere attenzione e numeri, ma mai a discapito della qualità. Cercheremo di perfezionare i nostri rapporti distributivi ormai consolidati nei vari Paesi: seguire con attenzione e supportare i nostri distributori all’estero è imperativo per avere qualche risultato.
Così come è importante impegnarci sempre più nella promozione dei nostri artisti e dei nostri prodotti.
Parallelamente tenteremo di potenziare la nostra presenza, con accordi più ampi e sicuri, nel campo della distribuzione digitale, in particolare puntando su una maggiore visibilità in questo campo.
Ed infine stiamo lavorando, per ora in via sperimentale, all’abbinamento delle nostre musiche con le ultime tecnologie legate all’uso dei tablet, smartphone ecc.
Con tutta questa carne al fuoco mi riesce difficile pensare al 2020, spero solo di arrivarci in salute fisica e societaria. Il presente è sufficientemente impegnativo.
Anche se in Italia pochi ne sono informati, il vostro catalogo ospita molti titoli di artisti orientali rivolti principalmente a mercati molto distanti dall’Italia. Una curiosità che, immagino, avrà delle solide motivazioni. Ce le vuoi spiegare?
Fra le nostre prime produzioni puoi trovare Vizonto, Vladimir Denissenkov, Zsaratnok, Yasko Argirov, insomma un oriente a noi più vicino, quello europeo. Poi abbiamo sviluppato contatti e rapporti che ci hanno portato sempre più a est, fino al cuore dell’Asia. Oggi abbiamo uno dei cataloghi discografici più ampi di musiche asiatiche, per lo meno in Europa. Questa scelta ci permette di ampliare e differenziare la nostra offerta e avere qualche soddisfazione nell’export.
Dobbiamo anche considerare che etichette simili alla nostra di altri Paesi come Francia (Ocora, Inedit) o America (Smithsonian) sono legate o addirittura finanziate da istituzioni pubbliche mentre noi siamo sganciati da qualsiasi referente istituzionale o politico italiano, il che ha reso il nostro lavoro indubbiamente più complesso e rischioso. In anni recenti abbiamo sviluppato rapporti intensi con il Ministero della Cultura dell’Azerbaijan e con la musicologa Sanubar Baghirova che ci ha portato alla pubblicazione di 8 Cd di musica dell’Azerbaijan, un paese piccolo ma con un’ampia varietà di stili musicali fino ad oggi poco conosciuti in Occidente, mai presentati in modo così organico come abbiamo fatto con questa nostra serie.
Abbiamo un catalogo di musica indiana che oltre a nomi più noti dell’India del Nord presenta musicisti classici dell’India del Sud, altra area geografica poco frequentata. Altre nostre aree di lavoro sono state la Cina con la pubblicazione di diversi lavori di musica tradizionale ma anche di minoranze come quella tibetana e più recentemente di quella Uigura del Xinjiang cinese con il CD di Sanubar Tursun, che ha avuto una risposta ben oltre le nostre attese con ottime recensioni sulle più importanti riviste del settore e si stanno concretizzando importanti suoi concerti al SOAS di Londra e al Theatre de la Ville di Parigi. Abbiamo anche stretto ottimi rapporti con etichette discografiche indiane (Super Audio Madras, Mystica Music) che ci hanno permesso di licenziare alcune nostre registrazioni in India, non solo di artisti indiani ma anche, recentemente di musicisti turchi (!!!).
Torniamo in Italia: alcuni musicisti e anche certe correnti di pensiero vi criticano perché –a loro dire- non rischiate abbastanza producendo più artisti nazionali. Cosa hai da dire in proposito?
E’ una affermazione che contesto alla luce dei numeri. Nel 2013 abbiamo realizzato e/o distribuito 13 produzioni di musica italiana contro 9 produzioni di musiche estere. Non mi si dirà che abbiamo abbandonato l’Italia! E poi, scusate l’immodestia, forse si dimentica quali e quante produzioni italiane abbiamo inanellato in tutti questi anni: alcuni artisti oggi irrinunciabili e “patrimonio della musica tradizionale italiana” hanno mosso i primi passi con noi affermandosi anche grazie al nostro lavoro.
Un ragionevole bilanciamento geografico nelle scelte produttive, anche interno al territorio nazionale, è indispensabile per essere seguiti dai nostri distributori, dalla stampa, dalle radio. Teniamo ben presente che noi lavoriamo nel campo della world music, che specialmente all’estero significa la musica di tutto il mondo. Un catalogo monolitico basato esclusivamente su artisti italiani, lo abbiamo capito da tempo, non aiuta né noi né gli artisti stessi: saremmo catalogati come monomaniacali privi di scelta, fantasia ed offerta. Al contrario, il buon esito di un nostro artista estero può fare da traino per il buon risultato di un artista italiano, o vice versa naturalmente. Diciamo anche che il mercato è afflitto da un inconcludente gigantismo produttivo, dove la musica di radice italiana – siamo sinceri – ha perso moltissimo dello smalto e dell’appeal di cui godeva fino a qualche anno fa, con risultati di vendita in serio ribasso: capita spesso che il buon esito di alcune produzioni estere serva a finanziare quelle italiane.
Bisogna dunque operare una scelta in base alla qualità e alla freschezza della proposta, non disgiunta – mi si perdoni l’affermazione critica – dall’affidabilità e dalla professionalità degli artisti, dal loro senso pratico, dalla loro intelligenza personale, dal loro spirito di collaborazione, dalla loro consapevolezza di lavorare in un ambito sempre più difficile e complesso : tutte qualità che sinceramente faccio fatica a riscontrare negli ultimi tempi in Italia. Mediamente gli artisti stranieri sono più inclini alla collaborazione, dimostrano più senso pratico ed entusiasmo per il nostro lavoro. Al contrario gli italiani sono più bizantini, pretenziosi, inclini a sfondare budget irrecuperabili nelle attuali condizioni di mercato, sempre pronti a fare della casa discografica il capro espiatorio. Ma nonostante la fatica restiamo convinti che l’Italia abbia musica meravigliosa da valorizzare e lavoriamo con molti artisti sulla nostra stessa lunghezza d’onda con reciproca soddisfazione.
E la distribuzione, in Italia e nel mondo: c’è qualcosa di nuovo e di buono o le solite malinconie?
Posso avvalermi della facoltà di non rispondere, Vostro Onore? Scherzi a parte, la risposta è inevitabilmente un po’ triste, visto quello che abbiamo detto fin qui. Ma partirei dall’aspetto cautamente ottimistico dei mercati esteri : la Francia tiene piuttosto bene, anzi oggi rappresenta per noi il primo mercato con due solidi distributori assodati negli anni; in Inghilterra abbiamo aperto da due anni con la Proper, la più importante distribuzione indipendente inglese, e ne stiamo ricavando discrete soddisfazioni dopo anni di sofferenza oltremanica; tiene botta, nel nostro piccolo, anche la distribuzione in USA e Giappone. Altri Paesi europei come Germania, Austria, Benelux e Spagna mostrano un “quieto vivere”. In sostanza l’esportazione, seppur enormemente ridimensionata rispetto a qualche anno fa, è ciò che ci consente di sopravvivere.
Altro discorso, purtroppo, è il mercato nazionale ormai decisamente al collasso.
E’ sotto gli occhi di tutti la morìa dei negozi di dischi, uccisi non solo dalla pirateria ma anche dalle troppe tasse e dai costi di gestione irragionevoli. Ormai sono mosche bianche. La catena FNAC (di proprietà francese) prima ha chiuso la metà dei suoi megastores lasciando sul lastrico alcune centinaia di lavoratori ed infine è stata venduta a Trony con un colpo di mano che l’Antitrust ministeriale non avrebbe dovuto permettere. Feltrinelli tende a vendere l’ultimo successo del momento a prezzo scontato, fuori tutto il resto. Media World ha ridotto di più della metà gli spazi espositivi dedicati alla musica e commercializza quasi solo offerte speciali. Ma in compenso Amazon ha aperto in Italia, acquistando da ogni dove tranne che dall’ Italia, facendo un fatturato esorbitante e pagando le tasse in Lussemburgo.
In sostanza in Italia è difficile vendere i dischi perché non ci sono più posti dove venderli. A maggior ragione per la nostra musica, da sempre prodotto di nicchia.
Cosa vuol dire fare il produttore discografico oggi? E domani? E dopodomani?
Bisognerebbe valutare due aspetti della nostra attività: quella commerciale e quella artistica. Di quella commerciale, forse la parte meno creativa, abbiamo parlato a lungo nelle domande/risposte precedenti, posso solo aggiungere che tutto si muove in modo molto veloce ed è essenziale il tempismo così come tentare di percorrere canali nuovi il più possibile. La parte artistica riveste un’importanza fondamentale. Il consumatore finale e prima ancora i distributori fisici e digitali si trovano tra le mani un prodotto finito che deriva dall’intuizione, dal lavoro e dagli sforzi del produttore. La nostra professionalità e la nostra esperienza è cruciale nel riuscire a proporre prodotti di qualità, interessanti, ben realizzati ed infine ben promossi. Tutto ciò passa attraverso un processo piuttosto lungo, non sempre facile, fuori e dentro lo studio di registrazione, in cui ci si confronta con gli artisti in modo da esaltarne le idee e le qualità compositive ed esecutive. Questi aspetti sono quelli che qualificano il mestiere del produttore e lo rendono insostituibile alla buona riuscita di un prodotto discografico, oggi, domani, dopodomani.
Matteo dice
Un’analisi che non lascia scampo a sorrisi ma ci invita a riflettere sul futuro della musica. Come musicista ma soprattutto amante di musica folk prendo spunto da un viaggio fatto pochi giorni fa a Celtic connections in Scozia in cui ho visto una scena musicale trad valorizzata, personale al lavoro, vendita dischi e divertimento. E la speranza la vedo pensando a Kirsty nel Coda (cd shop) di Edinburgo in cui si vendono solo dischi di musica folk…irrealizzabile in Italia?