Passione, entusiasmo, caparbietà e rigore nello studio delle tradizioni orali d’Abruzzo costituiscono la cifra intellettuale di Carlo Di Silvestre, autorevole ed infaticabile figura di ricercatore e musicista polistrumentista – anima del gruppo musicale Il Passagallo, in dialetto Lu Passagallë (www.lupassagalle.it) – protagonista di una rilettura creativa di canti e musiche d’Abruzzo, territorio cerniera, nel quale si riscontrano espressioni tradizionali ancora funzionali o almeno presenti nella memoria della popolazione più anziana. Quantunque sottoposta a processi di omologazione ed unificazione determinati dai mutamenti socio-culturali, politici ed economici, la musica popolare d’Abruzzo presenta una vastità eterogena di repertori e generi, riconducibile alle relazioni storiche con diverse popolazioni del bacino del Mediterraneo. Troviamo canti narrativi, sia di provenienza autoctona sia derivati dai modelli settentrionali, canti lirico-monostrofici (serenate, stornelli, ninna-nanne, filastrocche, canti sul lavoro), canti della religiosità popolare (canti di questua, orazioni, canti devozionali, canti di pellegrinaggio, canti di veglia), musiche processionali e danze. Anche il profilo musicale appare quanto mai diversificato, con melodie in tonalità maggiori e minori e forme modali melismatiche, piene di ornamenti. La vocalità tradizionale, che può essere fortemente enfatica o più raccolta, a seconda dei repertori, possiede una forte connotazione timbrica (timbro vocale aspro e nasale, emissione a gola stretta, uso di intervalli non temperati o di micro-intervalli, glissati). Quanto agli strumenti ancora presenti o riprodotti grazie al revival segnaliamo plettri, flauti, violini, zampogna, percussioni, fisarmonica e organetti. Un ruolo primario spetta al ddu bbòttә (l’organetto diatonico a due bassi, prodotto artigianalmente nelle province di Teramo e Pescara), diventato, nel bene e nel male, icona della musicalità abruzzese. Che è musica ancora ignota al grande pubblico ma semisconosciuta anche per gli amanti del folk, sovente mistificata, sottoposta a letture oleografiche, stereotipate e folkloristiche.
Il termine passagallo ci riporta in mente i “passagalli delle chitarre” dannunziani de “La vergine Orsola” in Novelle della Pescara. Tuttavia, l’etimologia rimanda, con ogni probabilità, alle “passacaglie”, le suonate alla chitarra, oppure alle espressioni “passar dei galli” o “passar per i vicoli”, riferite al costume del girovagare di suonatori e cantori per le vie fino all’alba per portare serenate alle fanciulle. Il gruppo costituitosi a Pineto, nel teramano, nel 1998, col passar degli anni ha avuto avvicendamenti nell’organico ruotante intorno ai componenti storici Carlo Di Silvestre, Graziella Guardiani, Guerino Marchegiani e Marco Giacintucci. I primi due lavori Lu solë mo calë (2001), titolo preso da un canto di lavoro della battitura del grano, e Bonnì Bonn’annë (2008), proveniente da un canto di questua di inizio d’anno, sono improntati ad una riproposta di materiali tradizionali con un’attenzione rivolta ai timbri vocali e strumentali e una ricchezza ed originalità nella scelta dei repertori. Soprattutto il secondo album è un disco corposo: 73 minuti di eccellenze sonore. Il terzo lavoro, intitolato Co’ l’occhi bassi. Musica popolare in Terra d’Abruzzo (Musicomania), è stato pubblicato sul finire del 2010. Si segnala per la maturazione acquisita dalla band teramana, qui in forma allargata di ottetto, che mette al centro dei suoi interessi la poesia popolare, scavando nei modi di narrare storie e sentimenti d’amore, di sdegno, di devozione, consapevole delle stratificazioni sonore della musicalità abruzzese: “Sonë vaštardë” è il titolo di un loro concerto. Co’ l’occhi bassi è una produzione composita, ricca di sostanza che, come in passato, persegue una strada che non guarda al compromesso. Si parte in maniera incalzante con una tarantella per proseguire con gli stornelli amorosi della title-track affidati alla bella voce di Graziella Guardiani. Si passa a “Quest’è la prima sera”, serenata a tempo di rumba, prima di addentrarsi nel repertorio religioso con le orazioni a “Santa Barbara” e “San Giuliano”, provenienti dalla duecentesca Legenda Aurea del vescovo Jacopo da Varagine. Colpiscono le due serenate “Ninnella”, tradizionale riarrangiato per chitarra e contrabbasso, ed “E amore amore”, protagonista il timbro grave del calascione e ancora la potente voce della vocalist. Il ritmo incalza nuovamente con una “Saltarella” tradizionale, seguita da “La ballata dell’amore”, versione abruzzese della nota Cecilia. Svetta il canto polivocale “E tutte le Madonne”, immancabile poi un canto di questua dedicato al vivissimo culto de lu nemiche di lu dimonjë, Sant’Antonio Abate. Intitolato “Bona sera brava gente”, il brano è introdotto da un pregevole assolo iniziale di zampogna che spiana la strada ad organetto, plettri e percussioni e al canto dalla connotazione carnevalesca. Ancora un canto di questua dell’Epifania ed un canto mnemonico condotto da tamburi a cornice e mantici, poi il finale con un canto di pellegrinaggio dedicato a “San Gabriele.” Della nuova fisonomia de Il Passagallo, della ricerca e della musica in terra d’Abruzzo abbiamo parlato con Carlo Di Silvestre.
In Co’ l’occhi bassi assistiamo all’ampliamento dell’organico.
“Intorno alla formazione storica (Guerino Marchegiani, Graziella Guardiani ed io) hanno ruotato vari musicisti. Coloro che collaborano attualmente con Il passagallo provengono da esperienze musicali di ambito popolare o di altro genere. Per quanto riguarda le percussioni, che sono i tamburi a cornice, collaborano con noi Davide Conte, salentino trasferitosi a Roma, che sui tamburi ha approfondito varie tecniche antiche e moderne provenienti all’intera area mediterranea, Angelo Giuliani di Norma (LT) e Fabio Di Gabriele, teramano doc, che hanno instaurato un rapporto più “tradizionalista”, diciamo, con lo strumento. Alle zampogne c’è il meticolosissimo Marco Cignitti di Subiaco, suonatore legato alla tradizione ed eccellente costruttore di zampogne e flauti di canna; al violino Giovanni Ciaffarini di Cappelle sul Tavo (PE) che, proveniente da esperienze musicali di matrice classica e di tango argentino, ha superato egregiamente… la prova d’ammissione ed ora deve solo fare esperienza per dare il meglio di sé. Carlo Pelliccione, contrabbassista, docente al Conservatorio di Campobasso, è di Terranera, paese dell’aquilano in cui Lomax registrò dei canti eseguiti da una sua zia. Cosa dire di lui? Proveniente da esperienze di lustro nell’ambito della musica barocca, ha perso letteralmente la testa per la musica popolare, per il canto e la danza: è un vero animale da palcoscenico!”Nel disco prevalgono tue composizioni strumentali, ben nove su quattordici brani, sposate a testi provenienti dalla tradizione orale.
“Sì, proponiamo dei brani con testi originali e musiche composte da me ed arrangiate per l’organico da Guerino. Già nel penultimo CD ho iniziato a sostituire le musiche tradizionali con mie composizioni mantenendo i testi originali e tale operazione poi l’ho riproposta in questo nuovo disco. La motivazione sta nel voler esaltare maggiormente il messaggio poetico, sia esso narrativo che lirico, con musiche più coinvolgenti che mettessero in risalto le parole. Il tutto ispirandomi comunque alle sonorità tradizionali presenti nella mia terra; sonorità che ci rimandano alla musica sia europea che mediterranea. Spesso le musiche che creo prendono spunto da brevi incisi tradizionali com’è accaduto nella tarantella I passagalli. Altre volte mi è capitato di creare delle musiche ex-novo da inserire su dei testi poetici che, raccolti e pubblicati dai vari folkloristi negli anni ‘60, non presentavano riferimenti musicali. Dopo dieci anni di riproposta “filologica” abbiamo sentito tutti noi de Il passagallo la necessità di trovare un nostro linguaggio sonoro-comunicativo ed è questo il nuovo percorso che stiamo sperimentando senza voler, però, immergerci in altri stili formalizzati o inserire strumenti molto diversi da quelli tradizionali”.Avete anche italianizzato il nome.
“È stato un po’ come a voler scardinare il concetto distorto fortemente presente negli ambiti colti abruzzesi in cui la musica popolare o non viene considerata o viene etichettata come espressione bassa dei cafoni. Manca ancora qui da noi la consapevolezza di quanto possa essere importante la conoscenza della propria identità culturale attraverso la valorizzazione dei beni demo-etno-antropologici materiali ed immateriali. Ho italianizzato il nome del gruppo sacrificando il termine dialettale con la speranza che il contenuto, vale a dire il messaggio sonoro e culturale, possa avere una maggiore divulgazione.” Il tuo è un ultraventennale lavoro di ricerca nelle tradizioni musicali locali che merita grande attenzione.
“Ho iniziato le prime ricerche sul campo nel 1984 dovendo affrontare l’esame di etnomusicologia con Roberto Leydi al DAMS di Bologna. Successivamente, fino ad arrivare ad oggi, ho continuato l’indagine rimanendo pur sempre in Abruzzo che, da nord a sud e da est ad ovest, ha mostrato le sue diversità di usi e costumi, di sonorità e linguaggi nonché di prelibatezze gastronomiche! Da alcuni anni mi dedico alle riprese video che, indubbiamente, offrono la possibilità di testimoniare e studiare l’occasione in maniera completa avendo a disposizione, oltre al suono, anche l’immagine. Attualmente più che alle ricerche sul campo dedico il mio tempo a riordinare in studio il mio archivio audio-visivo composto da oltre diecimila minuti di audio e circa 100 ore di video. Il tutto per rendere più interessante il Centro Etnomusicologico d’Abruzzo (C.E.d’A) che, sorto grazie alla sensibilità dell’amministrazione locale, mi riferisco alla giunta Monticelli, è situato presso la Villa Comunale di Pineto, ed è stato dato in gestione all’Associazione Il passagallo”.
Sul piano documentaristico hai prodotto una preziosa serie di sei volumi sui repertori di tradizione orale in Abruzzo, quasi tutti con allegato un o due CD audio, che fanno parte della “Collana di Etnomusicologia Abruzzese”, pubblicati con il sostegno della Regione Abruzzo 1. Studi che si affiancano alle indagini storiche sulla regione: da Finamore a Giancristofaro, da Nataletti a Lomax, Carpitella, Leydi, e ai più recenti lavori di Domenico Di Virgilio e Giuseppe Gala. Si può considerare completata la ricognizione? Ci saranno altre pubblicazioni?
“Ci saranno ulteriori pubblicazioni dedicate ai singoli informatori, ed alle celebrazioni ancor oggi in funzione come i momenti rituali di questua: Sant’Antonio Abate, San Sebastiano, il Capodanno e le Sacre rappresentazioni sulla Passione di Gesù. Per questi ultimi ho pensato di allegare dei filmati raccolti in DVD ai prossimi libri, che saranno ricchi di immagini scattate da Mauro Cantoro, un fotografo professionista. Sto lavorando anche su delle registrazioni – si tratta di circa 40 bobine – avute dal prof. Giuseppe Profeta, e relative ad indagini antropologiche effettuate dai suoi studenti della Facoltà di Magistero de L’Aquila, negli anni 1964-1968. Come si può ben immaginare, c’è il problema economico legato alla realizzazione di tali pubblicazioni. Comunque, spero che qualche editore, regionale o non, si faccia sentire; una strada la troverò”.
Sul piano dei materiali, quali sono quelli che maggiormente connotano l’area abruzzese?
“Per quanto riguarda il repertorio strumentale posso dire, dopo l’ascolto dei documenti sonori degli anni ’60 e di alcune mie registrazioni, che la mia attenzione si è fermata sul genere del saltarello che si presenta assai diverso, a seconda delle zone territoriali, per le sue varie modalità esecutive, per le dinamiche utilizzate dai suonatori e soprattutto per gli accenti e l’alternanza di tempo tra tonica e dominante. In alcuni casi proprio l’alternanza dei due accordi è dilatata come accade nello schema ritmico della pizzica salentina. In altri casi, invece, il ritmo di accompagnamento del saltarello anziché essere puntato è dato da note di pari durata. Altra connotazione musicale per l’area abruzzese è sicuramente quella legata al genere delle orazioni moraleggianti e agiografiche provenienti dalle antiche laude medioevali. Non a caso Paolo Toschi nei suoi scritti definì le orazioni come specificità umbro-abruzzesi. Dai documenti sonori raccolti e da quelli ascoltati sin ora vi è una forte traccia in Abruzzo di questo genere musicale appartenente in modo esclusivo al repertorio femminile. In Abruzzo è tutt’ora notevole la presenza di questo genere rimasto vivo nella memoria delle donne più anziane. Tra le orazioni più diffuse si ricordano quelle di San Giorgio, San Nicola, Santa Barbara, Sant’Alessio, Sande Filicenze, Sant’Anna e poi ancora Sand’Emiddio e Sant’Antonio”.
Soffermiamoci su alcuni strumenti, come la zampogna e il colascione. La prima considerata un cliché dell’ Abruzzo pastorale, il secondo è lo strumento barocco, derivato dalla famiglia dei liuti mediorientali a manico lunghissimo e cassa a forma di piccola pera, che nella variante popolare napoletana siamo abituati a vedere nelle figure del Presepe napoletano settecentesco.
“Con il nascere in quest’ultimo decennio dei vari gruppi di riproposta e di associazioni varie “pro-utriculus”, la zampogna è diventata argomento di dispute e liti tra gli appassionati. A proposito di cliché, Leydi mi raccontò quando negli anni settanta nel periodo natalizio a Lugano avvicinò un suonatore di zampogna per chiedergli la sua provenienza. Il suonatore rispose che era abruzzese e solo dopo un po’ confessò che era di Cerro al Volturno e che era molisano. Leydi gli chiese come mai celasse la vera provenienza e la risposta fu: ‘Se dico abruzzese mi fa più importante!’ Di certo prima della scissione del Molise nel 1963, quando esisteva l’unica regione Abruzzi e Molise, gli zampognari venivano identificati tutti come abruzzesi; ciò non vuol dire che in Abruzzo non vi siano stati in passato dei suonatori e basta ricordare la famiglia Musichini di Castellafiume (AQ) o Trasatti e Balsami di Isola del Gran Sasso (TE). È anche vero che in Abruzzo, a differenza del Molise e della Ciociaria, non risulta vi fossero stati dei costruttori di zampogne e ciò fa pensare che anche i suonatori erano esigui di numero. Il colascione è ricomparso in Abruzzo in località Caramanico (PE) grazie alle ricerche effettuate da Giuseppe Gala, Silvio Pascetta e Domenico Di Virgilio (documentate in Suoni che tornano, Taranta, 2006. Ma qui vogliamo è opportuno segnalare anche i lavori di Giuliana Fugazzotto e Roberto Palmieri Il colascione sopravvissuto Orpheus, 1994 e Fedele Depalma, O re de li stromiente. Il colascione nelle fonti musicali, letterarie e iconografiche, Edizioni Del Grifo, ndr). Tre gli esempi rinvenuti di questo strumento che veniva costruito in modo rudimentale in tre diverse misure: colascione, calascë e calascinë ed era suonato per accompagnare le serenate e gli stornelli, i canti di questua, nonché eseguire semplici melodie di musiche a ballo come saltarelle e ballarelle. Non vi sono registrazioni a riguardo e nulla si sa sulla tecnica utilizzata dai suonatori locali”.
Tra i tesori etnofonici abruzzesi ci sono organici di strumenti ritmico-percussivi (tamburi e flauti), che portano alla memoria analoghi complessi della Francia meridionale e della penisola iberica. Che origine ha in Abruzzo questa pratica?
“Probabilmente l’inserimento di grancasse, tamburi e pifferi (flautini traversi a sei fori) nella musica popolare abruzzese è da ricondurre al periodo in cui, sotto il dominio spagnolo, in alcune zone dell’Abruzzo vi erano degli avamposti militari borbonici e le relative bande musicali annesse. Così è accaduto nella zona di Isola del Gran Sasso (TE) dove ancor oggi delle piccole bande formate da uno o due pifferi, un tamburo ed una grancassa accompagnano le processioni locali di Santa Maria di Pagliara e di Santa Colomba eseguendo brani strumentali di derivazione medioevale”.
Quando con Pietro Carfì abbiamo lavorato al disco di Tribù Italiche Abruzzo (era il 2003), rilevammo nella regione un panorama di musica acustica di grande spessore. Dal tuo osservatorio, come valuti oggi la situazione musicale in Abruzzo?
“Per quel che riguarda la riproposta delle musiche di matrice tradizionale, Il passagallo e i Discanto sono i due gruppi storici che, in modo anche diverso, rappresentano la musica popolare abruzzese rimanendo attaccati ai saperi che le nostre genti ci hanno tramandato. Il nuovo gruppo A’ ssaldarella segue anch’esso un percorso di valorizzazione culturale della tradizione locale”.
Avete partecipato alla finale di Folkermesse lo scorso luglio 2011. Come valuti quell’esperienza? Più in generale, quanto è difficile la vita live di una band come la vostra?
“Deludente per tutti noi de Il Passagallo: non per il risultato ottenuto, i vincitori (Chemin de fer, ndr) sono bravissimi ragazzi, nonché ottimi musicisti, ma per l’accoglienza ricevuta sia sotto il profilo umano che organizzativo. Ci è sembrato di stare in una situazione un po’ spenta ed apatica. Peccato! Per quanto riguarda il risultato ce lo immaginavamo già, considerato il fatto che il nostro repertorio non si basa sulla musica a ballo ma sulla narrazione poetico-musicale. Spesso nei concerti, scherzosamente, dico a chi ci ascolta che oltre alle gambe bisogna muovere o meglio smuovere anche la sfera dei sentimenti e delle emozioni. La cosa più difficile oggi è entrare nei circuiti musicali, specialmente per chi vive in posti come l’Abruzzo, messo lì un po’ da parte. Possiamo comunque essere soddisfatti per i consensi che riceviamo offrendo a chi ci ascolta un tipo di musica che ha una sua identità ben specifica, non di certo omologata”.
Ciro De Rosa
Giancarlo dice
Molto interessante. Sto leggendo in modo lettura interpretata e commentata le “novelle della Pescara” da voi citate e ho trovato molte integrazioni per la comprensione e approfondimento
dell’opera giovanile di D’Annunzio. Grazie e complimenti.