di Alessandro Nobis
Si è chiusa venerdì 27 luglio, nello splendido giardino antistante a Villa Carlotti, sede del Municipio di Caprino Veronese, la rassegna Musica tra valli ed altipiani, intelligentemente promossa dalla Cassa Rurale della Vallagarina per celebrare i centoventi anni dalla sua fondazione: cinque concerti (Tiziana Tosca Donati ad Ala, Antonio Forcione e Adriana Adewale ad Isera, Nite Noire a Folgaria, Elida Almeida a Bosco Chiesanuova e Rachele Colombo a Caprino Veronese) tra l’altopiano della Lessinia e la val D’Adige (e dintorni), pensati dal direttore artistico di Velo Veronese, Alessandro Anderloni. Per il concerto di chiusura è stata chiamata come accennato Rachele Colombo, ricercatrice e interprete già con i Calicanto e Archedora, per presentare il suo lavoro Cantar Venezia: canzoni da battello con Domenico Santaniello al violoncello e tamburo e Marco Rosa Salva ai flauti; Cantar Venezia è il risultato di un lungo lavoro di ricerca, di trascrizione dei manoscritti, di arrangiamento – la formazione a tre è risultata perfetta per l’equilibrio sonoro – che ha impegnato Rachele Colombo per cinque anni e che si è concretizzato nel doppio significativo CD (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/04/27/rachele-colombo-cantar-venezia-canzoni-da-battello/) pubblicato nel 2016 dalla Nota, che presenta una quarantina di queste straordinarie canzoni da battello di autore anonimo tra le circa cinquecento raccolte negli archivi.
Più che un concerto quello visto a Caprino Veronese è stato un racconto brillantemente narrato di scene di vita nella Venezia che si fa ancora vedere – per chi la vuole vedere – nelle calli più nascoste dove il sole non batte quasi mai, sotto i porteghi lontani nello spazio e nel tempo da quella parte di Venezia battuta dai turisti; la voce di Rachele Colombo – perfetta anche per questo repertorio – racconta dei mestieri della Venezia del Settecento – il mercante armeno, il maestro di ballo (Madam carissima con una melodia e due lezioni di testo che ha aperto l’incontro), il pasticcere (scaleter) o il fiorer, l’arrotino o l’astrologo con nella parte testuale spesso il segno della Venezia libertina, evidente in Semo alla riva. Si racconta in Che bela festa anche di come affrontare i passi di una danza popolare di corte come la Gagliarda (di origine rinascimentale) o di fare una serenata in Cara Nina el to bel sesto, il tutto presentato in una chiave colta (il violoncello) e allo stesso tempo popolare e, valore aggiunto, presentando i testi in lingua italiana vista la difficoltà di comprensione del veneziano settecentesco. Insomma, il valore del recupero di questo ricchissimo repertorio è altissimo e potrebbe rappresentare solamente l’inizio per lo studio e la riproposizione completa di un repertorio che in quantità e qualità ha pochi eguali, non solo in Italia.
Il concerto si è chiuso con il passaggio storico a cavallo del 1800 dalle canzoni da battello (anonime come detto) alle barcarole (a stampa e d’autore) dando via ad una loro maggiore diffusione e all’inizio del commercio di questi fogli volanti nelle strade e nelle piazze, che nei Paesi anglofoni si sarebbero poi chiamati Broadside Sheets o Broadside Ballads: a fare da ponte tra i due secoli una versione de La biondina in gondoleta, canzone tra le più conosciute – la più conosciuta – del repertorio veneziano. Si chiude un’epoca per la Serenissima; quella del Settecento descritta anche dai Vedutisti non c’è più, inizia quella che poco a poco diventerà quella turistica, con gli eccessi di questi ultimi anni.
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