Caro vecchio Jorma, sono ormai cinquant’anni suonati che ci dedichi con onestà,orgoglio ed amore le note della tua chitarra. Fin dal 1965, quando suggeristi a certi tuoi amici di chiamare il vostro gruppo con il tuo vecchio sprannome, cioè Jefferson Airplane e con loro ne facesti delle belle, spargendo di acido la Storia della Musica. Ma la faccenda ti stava un po’ stretta: il tirunvirato Slick (gli occhi più belli della West Coast)-Kantner-Balin ti strozzava la voglia di purezza e libertà, quindi decidesti con il tuo alter ego Jack Casady (quello con gli occhiali larghi) di fare ciò che più vi piaceva, il blues, quello delle radici, del reverendo cieco e del Mississipi. Nacquero così gli Hot Tuna, vita parallela degli Airplane che ad un certo punto si tramutarono sciaguratamente in Starship edimenticarono di quanto erano rivoluzionari per abbracciare (e farsi strozzare da) il mainstream. Adesso ci fai una bel regalo, e te ne esci con Ain’t no hurry e subito ci viene da chiederci, ma perchè mai, a settantacinue anni suonati, dovresti averne, di fretta? Le canzoni sono undici, ed alterni classici ad originali, ma il risultato è comunque molto organico. E’ chiaro, sembra un disco di altri tempi, di quelli suonati ai bordi degli incroci, con intensità e semplicità, insieme a violini, mandolini, lap steel e contrabbassi. Quindi non solo blues, ma country blues, con l’inseparabile Jack, poi Barry Mitterhoff e la cantante Teresa Williams e l’immagine di Woody Guthrie che ogni tanto raffiora dai meandri della memoria. Lo stile ricorda per forza di cose gli Hot Tuna ed il nostro grande Jorma suona un sacco di corde: la chitarra con il suo inconfondibile fingerpicking, mandolino, resonator e ogni tanto ruba il basso all’amico Jack. Non resterà nella memoria collettiva al pari di Quah, e non ci sono certo brani inconfondibili ed indimenticabili come Genesis ma lo si può tranquillamente tragettare nel lettore ed ascoltare con serenità e, specialmente, senza fretta.