Nei giardini di Provenza, dai mille occhi a fessure ovali sul mare, troviamo le lavande in futuri sacchetti, l’azzurro, stoviglie e piatti uniformati a limoni per olio e aceto, le piccole strade in salita, fatte di sabbie e fiori colorati, a vasi ordinati dalle code di cavallo fluenti di giovane donna in agosto. Eppure, tra idee cucinate all’aglio e attese previste, può crescere anche un melograno. Non è un albero immediato, anche se figlio del Mediterraneo, non lo troveremo sulla spiaggia, sotto un ombrellone di signora italiana in vacanza, ingioiellata dalla pelle a mantice di cartone. Fregherà qualche corda e un ramo sino ad intonare una Habanera Casalinga in pantofole e foglie, starnutirà allergico all’idea attesa di mare e Provenza. Si aprirà allora nel frutto tondo e bellissimo, fecondità immaginata, anche se la sorpresa è l’interno, ripartito nei quartieri a chicchi colorati di una Nizza dove crescono mandolini in quartetto, appesi agli alberi musicali ad angolo di sole. Ogni seme, piantato, darà una melagrana, una Miugrana, anticipo da marachelle acustiche, dove un tema iniziale potrà diventare la rincorsa sonora ad una delle quattro ripartizioni umane del frutto, che si è fatta elettrica, mandolinata camaleontica a chitarra sulle note increspate nella corsa. Dodici brani, chicchi nati dalla fantasia tonda a parto originale del Melonious Quartet, che ha tra i suoi fondatori Patrick Vaillant, firma di parte delle tracce sulla buccia acidulo-dolciastra della pianta dai fiori rossi. Il seme e le radici affondano stabili nella varietà mediterranea, centro di infinite strade e porti ad orecchio sonoro. E nel mezzo delle diverse influenze, tra popolare e marittimo, c’è il tempo, quello per sedersi in cerchio ad ascoltare un coro di incise voci rovesciate che invocano il dio misterioso dei plettri e delle corde a mandolino, che poi si apre in un percussivo e solista Duzvit, batte le mani saggio tra i richiami di elettrico dal fondo della caverna. E’ una semina a melograno chiaro, dai chicchi ad arcobaleno e falce a sorriso: il temporale della creazione dello strumento, richiamo percettivo antico di tutta la musica che passò per lo scuro Mediterraneo, non può durare in eterno. Il ventre ricamato di attese nel melograno ci insegna che il porto fondamentale è la musica, senza vincoli di genere e fissità da schede a firmamento celeste fatto per punti. La rotta non può che essere il pieno movimento di scelte e timbri, senza fili sottili di stelle predeterminate, con la voglia a frutto dolce nella tasca di creazione.
Il bel giardino di risonanze collocate perfettamente nello spazio del Melonious Quartet invita l’ascoltatore a liberarsi dai nani da toeletta di Biancaneve e coltivare invece i mandolini, innaffiarli e farli crescere virtuosi e fantastici per poi metterli in navigazione sul mare, piano ad onda di musica, dove ogni punto appare e scompare nella conchiglia più vecchia di una Francia mediterranea.
Troppe parole non servono, bastano le orecchie, una foto, bianca e scura, e tutto il resto si può trovare sul sito. E se pensate di aver capito e catalogato il lavoro nelle caselle rassicuranti della raccolta non resta che arrendervi all’impossibilità di fermarli questi plettri anche elettrici, e allora potete sedere con Charles Trenet a gustare un vino leggero a bolle di via centrale alla moda, piangendo con lacrime dolci a melagrana gli amori che non aspettavate e che mai più torneranno, perché La Miugrana è questo e molto altro, chicco prezioso di memoria e originalità nel ventre a frutto di un Mediterraneo commosso.
Elisa Testa
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