LABEL BLEU – LBLC4009, 2005 – COMPILATION
“La Planète Bleue” è un programma musicale radiofonico curato da Yves Blanc e trasmesso in FM in Francia, Svizzera e Canada. La trasmissione si occupa di musiche e musicisti che operano nel campo della ricerca (soprattutto in chiave elettronica) e delle espressioni più sperimentali della musica etnica. Il Cd che recensiamo è il terzo di una serie, la cui pubblicazione è iniziata nel 2001, e presenta una selezione degli artisti e dei brani trasmessi a “La Planète Bleue”. Partendo dai russi Fizzarum (gruppo sperimentale autore, a tutt’oggi, di un solo introvabile album) si arriva al prolifico maestro giapponese dell’ambient-music Tetsu Inoue (trenta gli album al suo attivo), passando attraverso paesi e continenti, in un viaggio (super)sonico a momenti addirittura straniante, che può semplicemente incuriosire, come anche irresistibilmente intrigare. Assemblati in maniera che ogni brano sfumi nel successivo, senza soluzione di continuità, le dodici tracce vengono a costituire così una sorta di unica sinfonia, dall’anima molteplice e dai molti, diversi e possibili livelli di lettura. A tratti algida nella sua matrice elettronica, a tratti commistione di moduli classici o etnici con la sperimentazione, la lunga suite rifugge così dalle categorizzazioni, e può essere oggetto di ascolto attento oppure utilizzata come sottofondo, una ambient-music dagli autori plurimi. E quindi, dopo i Fizzarum, ecco il francese Louis 2000, che unisce l’elettronica alle voci e ai canti di un villaggio senegalese. Sempre dalla Francia Red Leb, con un ipnotico brano elettrico: “Freezebee”. I Murcof sono invece messicani e, guidati da Fernando Corona, uno dei maestri del genere, mescolano il suono del violino e del violoncello con campionamenti e suoni sintetici. Il chitarrista norvegese Elvind Aarset presenta la sua miscela minimale di suoni elettronici, strutture jazz e echi world. Decisamente affascinante “Ka Mea Mea”, di Julio Hotu, musicista dell’isola di Pasqua, che ripropone il canto degli originari abitanti di Rapa Nui. Ed ancora la palestinese Amal Murkus, che unisce lo stile della canzone araba a una ritmica elettronica, così come il maliano Salif Keita presenta un brano al limite della dance-music. Dopo l’elettronico e futurista blues del francese Jean Michel è la volta dei Light in a fat city, trio di San Francisco con un brano in cui utilizzano strumenti etnici a fiato (come il didgeridoo e il flauto in bamboo del Mali). Dopo di loro Michel Redolfi, francese, noto per i suoi concerti eseguiti nel buio più totale, il cui “Vox in vitro”, incontro tra suoni della natura e suoni elettronici, è pura, e a tratti inquietante, sperimentazione.
Marco G. La Viola
Lascia un commento