Ci sono dischi che rischiano di non essere capiti immediatamente perché non si trova la chiave di lettura giusta.
Il problema, vale la pena ribadirlo prima di creare incomprensioni, non è mai nelle orecchie di chi ascolta. Con questo non intendiamo dire che la “colpa” stia nell’artista o nel progetto, ma semplicemente che non sempre si riesce a far scattare, per motivi in fin dei conti misteriosi, quella molla che conduce a una completa immedesimazione. Fino a quando, fortunatamente presto, si accende una lampadina in grado di far luce con l’illuminazione giusta. Tutto questo prende spunto dalla mia esperienza diretta di ascolto del recente lavoro discografico di Kay McCarthy “L’amore tace”. Proprio così, in italiano, e non – come banalmente ci saremmo aspettati dopo trent’anni di dischi e concerti in lingua – ”Love is Silent” o qualcosa di simile. Questa volta Kay ci ha voluto proprio stupire, regalandoci un disco inatteso e straordinariamente intimo, nel quale ci ha aperto il cuore della sua poesia in italiano: una strada nuova per la sua arte, un viaggio musicale minimalista condotto in compagnia di Arturo Annecchino, Alfonso De Pietro, Fabio De Portu, Stefano Diotallevi, Ugo Dorato, Mirko Fabbreschi, Leno Landini, Mauro Orselli, Piero Ricciardi, Fabio Scanzani, muovendosi sulle suggestioni di temi dolenti e toccanti. Anagraficamente non giovanissima, la McCarthy affronta la sua prima prova in italiano con l’entusiasmo di una ragazzina, esponendosi alle difficoltà di una metrica così differente da quelle abituali di risultare a volte ostica ma sempre tanto carezzevole quanto profonda. Tornando all’assunto iniziale, ecco la chiave di lettura che mancava al primo ascolto e ha rischiato di non farci apprezzare appieno “L’amore tace”, che invece è un gran disco, da ascoltare e riascoltare in assoluta serenità, lasciandoci cullare dalle sue umane, ma poetiche, imperfezioni.www.helikonia.it
Roberto G. Sacchi
Lascia un commento