Non si dovrebbe, ma talvolta capita di essere attratti da un disco grazie al suo titolo. Poi magari scopri che è pure interessante, anche se inclassificabile per genere. I Leitmotiv sono salentini, ma a parte qualche richiamo lontano alla tradizione e qualche citazione dei Negramaro, potrebbero essere cittadini del mondo. Un disco cantato in almeno cinque lingue, dai testi fra l’ermetico e l’onirico, dai suoni graffianti e dolci, accompagnato da un libretto che è una piccola opera d’arte ma non è il massimo della leggibilità (il che contribuisce ad alimentare una certa atmosfera di mistero che al gruppo evidentemente piace) è il loro biglietto da visita. Pronipoti di Frank Zappa per quanto riguarda la teoria del Caos organizzato ma coevi delle Luci della Centrale Elettrica per i testi di pesante denuncia di una insoddisfacente condizione umana, stanno bene attenti a non dare mai l’impressione di avere un punto fermo cui fare riferimento, producendo una musica che non è di confine ma va oltre ogni limite del già sentito. La loro, presumiamo, giovane età li rende suscettibili di qualche ingenuità di scrittura (anche se non possiamo escludere che anche queste siano volute), ma anche a ore dall’ascolto ci ritroviamo a canticchiare, stupefatti, “Tango Fluvial (triste, ordinario y final)”, la traccia forse più matura del disco. Il piacere della sorpresa: se manterranno le promesse e non si perderanno per strada, ne risentiremo parlare molto presto.
Dario Levanti
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