L’esclamazione o imprecazione Mascarimirì, in romanes significa “Madonna Mia!”. E’ il nome di un gruppo salentino che prosegue l’esperienza di una precedente formazione, denominata Terra de Menzu, soprattutto per quel che concerne l’attitudine ad operare nelle occasioni festive associate alla cultura popolare locale (feste religiose, feste nelle “curti”, feste dei fuochi). Hanno appreso la musica dai cantori e musicisti che si trovano a due passi da casa, ma costante è il loro desiderio di provare a sperimentare nuovi modi di fare musica, pur restando ancorati alla matrice salentina.I Mascarimirì sono Claudio “Cavallo” Giagnotti (tamburello, bendir, flauti, armonica, sonagli, voce), Cosimo Giagnotti (chitarra, putipù, tamburello e voce), Claudio Miggiano (chitarra, violino, tres, voce) ed Emanuele Licci (tres, chitarra, sonagli, voce). Elemento centrale del gruppo è indubbiamente “Cavallo”, che con la scelta del nome del gruppo e del titolo del CD vuole mettere l’accento sulle sue ascendenze zingare, di cui v’è traccia anche nel nome d’arte. Si tratta di un artista sollecito nel collaborare con artisti dell’area vesuviana e napoletana, quanto nel lanciarsi in scambi fecondi con i marsigliesi Dupain, i berberi Al Noujoum, ancora nell’aprirsi alle esperienze teatrali con il Centro Teatrale Astragali, fino all’interazione con i Sud Sound System.
Con Li mulè de li gaggè, dall’espressione salentino-romanes, che tradotta suona all’incirca: “Li mortacci dei gaggiò” (questi ultimi sono i non zingari) ci troviamo al cospetto di dieci brani tradizionali rielaborati, animati dalla potenza ritmica e dall’esuberanza polistrumentale di Cavallo, dalle notevoli individualità vocali di Cosimo Giagnotti soprattutto, ma anche di Emanuele Licci (quest’ultimo punto di forza anche di Ghetonìa), dagli interventi efficaci sugli strumenti a corda dello stesso Licci e da Claudio Miggiano. Partendo dai moduli stilistici salentini i Mascarimirì giocano con timbri sonori e ritmi, dialogando con trame musicali “altre” (Maghreb, Balcani, area vesuviana). Rispetto alle recenti produzioni di “Terra d’Otranto”, l’album si distingue per una certa originalità nella scelta dei materiali, comprensivi non solo delle musiche iterate delle pizziche, ma anche di brani di più vasta circolazione, come La Barca da Roma e Le tre sorelle. Quest’ultimo è un canto che presenta affinità con la ballata Pesca dell’anello, ed è quindi riconducibile al più ampio repertorio della ballata continentale. Degna di nota l’esecuzione dell’antico canto La Fontanella, nel quale la voce del cantore assume un timbro molto intenso. Ma la manipolazione della tradizione da parte di questi Musicanti del Salento si rintraccia, in maggior misura, in brani come Pizzica de Cutrofiano, Bendirì e La Spurchia.
Diciamo che di pregi l’album ne possiede. Tuttavia, dobbiamo rilevare anche i limiti manifestati dal quartetto. In quest’opera prima (se escludiamo la cassetta incisa nel 1998, e la partecipazione all’antologia Pizzicarella, pubblicata dalla rivista Olis), ci sembra che l’argomento sperimentazione non sia sviluppato ancora compiutamente. Per di più, la qualità della registrazione, effettuata in presa diretta nel convento domenicano di Muro Leccese, se per un verso accentua la dimensione “sul terreno” della musica, dall’altro finisce per compromettere la qualità fonica dell’opera e non rende giustizia alle potenzialità del gruppo.
Possiamo azzardare l’ipotesi maliziosa che la necessità di concorrere con gli altri agguerriti gruppi della scena locale abbia spinto la band a bruciare le tappe, producendo un’opera prima che si fa apprezzare per immediatezza, entusiasmo e comunicativa, ma appare un ancora tantino acerba. In ogni modo, il gruppo ha già in cantiere un nuovo lavoro, e possiamo affermare, dopo l’ascolto dei primi brani contenuti in un demo, che la sintassi musicale della band inizia ad essere articolata con maggiore scorrevolezza. Ciò ci fa ben sperare per il futuro artistico di Mascarimirì.
Ciro De Rosa
Lascia un commento