Hevia, la stella della musica folk internazionale che ha un grande rispetto per la nostra terra
Vi proponiamo l’intervista a Hevia, pubblicata dal mensile in lingua friulana “La Patrie dal Friûl”. Per leggere la versione originale cliccate su http://www.lapatriedalfriul.org/?p=15292
L’edizione 2015 di Folkest (www.folkest.com) ha fatto tappa a Tolmezzo regalando una bella serata di musica, ma anche una grande lezione di rispetto delle lingue e delle culture minoritarie: in “cattedra”, perdon, sul palco Josè Angel Hevia Velasco ((uscito col titolo ‘No Man’s Land’ in altri paesi) che solo in Spagna ha venduto 1.000.000 di copie, e nel quale si trova il suo pezzo più famoso, ‘Busindre Reel’ (Reel è il nome di una danza tipica delle Highlands scozzesi e Busindre è un paesino della Asturie a 500 m sul livello del mare, ndr).
Aprendo e chiudendo il concerto con un “Mandi Friûl” (‘mandi’ è il saluto tipico in friulano, ndr) e utilizzando sempre il nome in friulano per chiamare la nostra terra, durante la serata ha più volte sottolineato l’importanza delle culture minoritarie e delle tradizioni culturali, musicali e linguistiche di ogni popolo. E il numeroso pubblico ha molto apprezzato questa sensibilità, ringraziandolo con calore, in particolare quando Hevia ha fatto una dedica speciale al Friuli con una canzone dicendo “Come le Asturie anche il Friûl è una terra dove si parla una lingua minoritaria: un patrimonio dell’umanità”!
Terminato lo spettacolo Hevia, che parla molto bene l’italiano, ci ha accolto dietro le quinte per una chiacchierata molto cordiale.
Come hai conosciuto il Friûl?
“Innanzitutto amici e cibo”! (ride, ndr)
Cos’hai trovato qui?
“Come dicevo il cibo, perchè anche questa è identità di un popolo”.
Perchè?
“La musica popolare è come il formaggio: un formaggio originario di un luogo è caratterizzato dalla vita di quel territorio. Possono esserci le capre, le mucche, le pecore… Possono esserci le montagne e così quelle condizioni daranno un formaggio tipico. Un paese diverso, con altre caratteristiche, per esempio pianura e solo mucche, darà un altro formaggio. E così l’identità, come il cibo e la musica popolare: i paesi di montagna fanno una musica forte, semplice di melodia, con percussioni, caratterizzata dalla vita di quel territorio, che così condiziona l’identità”.
Parlavi anche di amici che ti hanno fatto conoscere il Friûl, vuoi ricordare qualche nostro musicista?
“Per tutti, ricordo gli amici di Folkest: non ti faccio nomi per non dimenticare qualcuno. La prima volta che abbiamo tenuto un concerto in Italia, dopo la partecipazione a Sanremo nel 2000, è stata a Pordenone e quella data è ancora un grande ricordo per me”.
Della lingua del Friûl cosa ti colpisce?
“Ho studiato filologia romanza e ispanica all’Università di Oviedo, perchè non ho potuto studiare filologia asturiana in quanto non esisteva quella specializzazione all’epoca. Ma spesso, nel mondo accademico che frequentavo, c’era sempre chi ricordava il Friûl e la lingua friulana, molte volte argomento di discussione nei congressi internazionali di lingue minoritarie”.
Hai avuto modo di ascoltarla e capirla?
“Con gli amici si parlava sempre di questa lingua, ma non ho avuto abbastanza opportunità per impararla. Però come ho detto durante il concerto, una lingua non è patrimonio solo del popolo che la parla. Come l’asturiano non lo è solo per le Asturie, il friulano non è patrimonio solo della gente del Friûl. Il friulano è patrimonio dell’umanità! Di certo responsabile di mantenere viva questa lingua è la gente del Friûl. Non perchè una cultura sia migliore di un’altra, ma perchè le diversità vanno rispettate”.
Cosa dici a chi rinnega le proprie radici?
“Penso che per essere un buon cittadino del mondo, devi prima amare le tue radici. Un mondo più unito è un mondo dove ognuno ama le sue radici: se tu pensi a una spiaggia di sabbia, vedrai che i granelli di sabbia sono più piccoli delle pietre, ma una spiaggia di sabbia è più compatta di una spiaggia di pietre. E così per le identità perchè ogni piccolo ‘granello’ sa chi è e sa cosa porta alla comunità di tutti”.
A un bambino che volesse avvicinarsi allla musica tradizionale che consiglio dai?
“Questo è molto importante per un bambino quando ha tre o quattro anni: non dobbiamo iniziare con l’insegnamento di uno strumento, ma è fondamentale che possa crescere in una famiglia dove si parli di tradizione. È molto importante che ci sia la trasmissione orale dei valori tradizionali tra le generazioni, dal nonno al nipote… Qui, a differenza del Nord Europa dov’è quasi persa, ancora si mantiene la tradizione del mangiare e parlare in famiglia. Io da bambino sentivo le storie della mia famiglia, dei nonni, che mi hanno colpito il cuore fin da piccolo e sono rimaste dentro di me. Così quando verso i 10 anni mi è venuta voglia di fare musica, per me è stato naturale prendere la gaita, perchè era uno strumento normale, uno strumento vivo di cui si parlava in casa”.
Mi ha molto colpito la registrazione degli anni Settanta della voce di tuo nonno, che hai fatto sentire in apertura del concerto: cosa dice in quei pochi minuti?
“Parla di una canzone antica. Mio nonno era minatore e dopo il lavoro in miniera, continuava il lavoro in campagna. E lui cantava solo se pensava di essere da solo, ma in quell’occasione mia mamma è riuscita a registrarlo con un magnetofono domestico. È una canzone in asturiano: dice ‘Questo vestito rosso non devi usarlo per lavorare la terrà’ e parlando a una donna continua ‘Se tu vuoi che tutti lo vedano, mettilo sul ramo di un albero’. È una canzone popolare con un testo molto semplice”.
Grazie Hevia per la tua disponibilità e per i tuoi insegnamenti…
“Grazie a voi, ma prima di salutarci devo dirti ancora una cosa. Oggi abbiamo mangiato a Verzegnis alla ‘Stella d’oro’ dove c’è un grande salone con un fogolâr al centro: quello era il ‘Facebook’ di una volta. Lì tanta gente si sedeva e il nonno raccontava sempre le stesse storie… tre, quattro, cinque volte, sempre quelle, tutto l’inverno. Lì ci si parlava e la tradizione orale continuava. Oggi, non si può più tenere questo stile di vita, anche se è molto romantico, però almeno possiamo provare a continuare a fare qualcosa di simile, cercando di mantenere in famiglia la trasmissione orale della tradizione”.
Di certo la gente che ha avuto la fortuna di partecipare alla serata porterà per molto tempo il ricordo di questo musicista: sia per lo spettacolo, per le parole e per gli insegnamenti, ma anche per il tempo che le ha dedicato a fine serata, fermandosi a firmare autografi, a parlare, a fare qualche foto, dimostrando grandi disponibilità e umanità, come solo i grandi artisti sanno fare.
Christian Romanini
IL GRAFFIO. ASTURIANI FRIULANI E CARNICI ITALIANI
Durante il suo concerto di Tolmezzo l’asturiano Hevia ha salutato tutti con un “mandi” e parlando ha sempre chiamato il nestro territorio “Friûl”, utilizzando proprio la lingua friulana. Per fortuna che c’era lui a farci capire che eravamo in Friûl, perchè nel discorso di presentazione del sindaco Brollo, tutto in italiano, non ce n’era traccia.