La fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 hanno probabilmente costituito un notevole trauma musicale per chi ė cresciuto a suon di beat (invenzione ed allegria) progressive (contaminazione ed apertura) e west coast (sogno ma impegno). Ci siamo trovati invasi da reggae, punk, Madonne e Michaeljacksons senza poterci raccapezzare su cosa stesse succedendo. Per fortuna siamo rimasti a galla con Police, U2, Queen (borderline…) ed un gruppo mezzo scalcinato dai pochi strumenti acustici ma dalle molte idee, non nuovissime ma fresche. Perchė scalcinati? Pensa al front man che canta come Dylan e suona come JJ Cale, l’altro chitarrista abbastanza incapace, un bassista spilungone ed il batterista proveniente dai Primitives di Mal… Eppure questi Dire Straits ci hanno emozionato, fatto sussultare con un felice mix di rock acustico-elettrico venato di country, blues, ballads. Ahimè sono passati almeno 35 anni ed il nostro grande Mark ne ha fatta di strada, mollando e riprendendo il suo giocattolo Straits, tessendo sublimi colonne sonore (in arrivo la prossima, Altamira), collaborando con colleghi altrettanto famosi, continuando a fare canzoni belle e talvolta significative. E lo si vede chiaramente nei suoi concerti, siano davanti a 100.000 persone o nel pub della sperduta campagna inglese, che lui continua a divertirsi un mondo. Questo Tracker ė un bel disco, pervaso da un’invidiabile serenità, che produce una serie di brani piacevoli, anche se probabilmente pochi di essi rimarranno nella storia, per il famoso teorema di Peter Gabriel secondo cui “se non soffri non farai niente di significativo” (ma sarà poi vero?). Un disco ispirato ai suoi innumerevoli viaggi, da ascoltare più volte, da maturare a poco a poco. L’inizio ė veramente affascinante, un ritmo jazzato in 3/4 con arrangiamento celtic oriented che già fa capire le sue intenzioni di non passare inosservato: un bel flashback dal titolo Laughs and Jokes and Drinks and Smokes dove tin whistle, violino e fisarmonica giocano a rincorrersi con la Strato rossa di Mark ed evocano paesaggi da fiaba. Basil, dedicato allo scrittore Baindbridge, è un altro valzerone che inizia con violini e dobro senza grossi sussulti, seguito dall’avvolgente River Town, con un bel sax di Nigel Hitchcock nel finale. Skydiver non molto originale ma finalmente scanzonato ed ironico, anche se sembra che il nostro avesse ascoltato “All you need is love” poco prima… Bello l’intreccio vocale del ritornello. Affascinante l’inizio di Mighty Man con botta e risposta fra chitarra e fisa in una costruzione che sa molto di celtico, seguita da Broken Bones in un immaginario duetto con il maestro JJ Cale e dalla ballata Long Cool Girl probabilmente uscita dal precedente disco fatto con la grande Emmilou. Carino ma troppo scontato Lights of Taormina, con una lunga intro, un’apertura folk rock ed un finale strumentale. Piacevole ma niente più la seguente Silver Eagle, in cui immagini un possibile ritornello che inizia con “Juliet when we made love you used to cry”… Ma una convincente Beryl, dedicata alla scrittrice Bunting, ci fa viaggiare a ritroso nel tempo per reincontrare qualche sano sultano dello swing e Wherever I go brilla per il duetto con Ruth Moody delle Wailin’ Jennys.E qui termina il disco “normale”. La versione per aficionados continua con un bonus di 4 brani che inizia con .38 Special che ci porta direttamente a Tombstone alla ricerca dell’Ok Corral ma ci fa poi addormentare con My Heart Has Never Changed. Terminal Tribute To ė in puro stile Straits, fino a terminare con una bella ballata fingerstyle dal titolo Heart of Oak, intima e gentile. Poi c’è il paio di canzoni incluse nel cofanetto per super aficionados: Oklahoma Ponies, con la musica tratta dal brano tradizionale Show The Pig’s Foot ed il finale consolatorio di Time will end all sorrow. A conclusione di tutto, direi che Tracker è un buon disco, da ascoltare più volte, anche se raramente significativo in assoluto… ma in fin dei conti cosa possiamo pretendere da un placido settantenne che ha comunque già forgiato a dovere i nostri cuori, le nostre menti e le nostre mani di abitanti del pianeta-chitarra? Grazie di esistere, Mark, a prescindere!