Inaugurati tre anni fa, nell’ambito di Folkest, i Folkclinic rappresentano un momento di formazione e di informazione dedicato a chi si occupa di musica per mestiere, per hobby, per passione o semplicemente per curiosità. Tra questi clinic Parole per musica è un appuntamento dedicato ai testi delle canzoni. Dopo Michele Gazich, che ha varato questa serie di seminari nel 2022, è stato il turno di Marco Ongaro nel 2023. Questa edizione 2024 vedrà come protagonista Maurizio Bettelli, autore di alcune canzoni dei Nomadi e di altri artisti, ma anche docente di scrittura creativa, che ci racconterà il suo modo di intendere la scrittura delle canzoni.
I due appuntamenti di Parole per musica si terranno il 6 e 7 luglio dalle 10.00 alle 12.00 a San Daniele del Friuli presso la Biblioteca Guarneriana. In attesa di incontrarlo a San Daniele, Felice Liperi, critico musicale e storico della canzone, ha posto alcune domande a Maurizio Bettelli e raccolto, qui di seguito, le sue risposte.
Il racconto in musica di Maurizio Bettelli
di Felice Liperi
F. L.: Sei un cantautore anomalo avendo alternato l’attività musicale di interprete e autore a quella di saggista ed esperto in tecniche della narrazione ma sono convinto che tutto questo abbia origine nel triangolo delle Bermude che ha il centro a Modena.
M.B. : Sono anche un modenese anomalo, nel senso che nelle mie vene scorre un 50% di sangue dalmata, mia madre era esule da Zara, e questo fatto non è secondario; effettivamente non mi sono mai identificato con una certa modenesità. Capisco quindi perfettamente il senso gucciniano di piccola città bastardo posto perché, specie durante l’adolescenza, ho sentito sulla mia pelle il peso di certi sguardi e di certe mezze frasi, e ho constatato di persona quanto sia visto con sospetto, da una comunità chiusa e ortodossa come quella modenese, avere un pensiero divergente, diciamo: un pensiero critico e non necessariamente fedele alla linea! Dal punto di vista musicale, però, Modena è una città straordinaria. Negli stessi anni in cui frequentavo il Liceo Scientifico Alessandro Tassoni, e scrivevo le mie prime canzoni, in altri istituti della città studiavano personaggi come Vasco Rossi, Maurizio Solieri, Ricki Portera, Antonio Rigo Righetti, Amos Amaranti, Piero Guccini, Riccardo Bellei, Marco Dieci, Francesco Coccapani, Glauco Zuppiroli, Sergio Silvestri, Franco Anderlini… Era un vivaio di talenti che nel tempo hanno dato un contributo notevole alla canzone italiana, e non solo al pop, ma anche al modo di raccontare la musica e comunicarla via etere con l’esperienza di Punto Radio a Zocca. La generazione precedente alla mia era quella dell’Equipe 84, dei Nomadi, dei Rags, dei Diavoli Neri, delle Scimmie (il primo gruppo rock al femminile la cui fama arrivò fino negli Stati Uniti), degli Onibaba, di Johnny e i Marines, di Carmen Villani, Caterina Caselli, Francesco Guccini, Pierangelo Bertoli, Jimmy James Browning, Zio Bac e tantissimi altri. E tra i nomi delle generazioni successive vorrei citare Vinicio Capossela, Nek, i MCR, Paolo Belli e i Ladri di Biciclette, i Rats, Graziano Romani e i Rocking Chairs solo per nominarne alcuni. In ultimo, ma non certo meno importante, Modena è la città di Mirella Freni e di Luciano Pavarotti. E’ doveroso ricordare che, finché Big Luciano era tra noi, a Modena i maggiori talenti del rock e del pop internazionale, da Elton John a Eric Clapton, da Sting ai Neville Brothers a Tom Jones, da Brian Adams a B.B. King e i Queen, ecc., facevano a gara per essere presenti in cartellone al Pavarotti & Friends. In quegli anni Modena è stata una sorta di Nashville nostrana, sia per i fenomeni che ha partorito, sia per gli artisti, e sia per i suoi magnifici orchestrali!
Mi ritengo anche un autore anomalo perché ho sempre considerato lo scrivere canzoni una passione, non un hobby ma certamente qualcosa di più profondo e serio, pur non volendolo considerare mai un mestiere. Forse perché mia madre, prussiana d’indole e di pensiero, ancor più della madre di Guccini, era convinta – e mi convinse – che un laureato conta più di un cantante, per cui a metà degli anni Settanta mi iscrissi a Lettere e Filosofia, con indirizzo linguistico, all’Università di Bologna. In casa mia, mia sorella maggiore si era già laureata brillantemente in medicina e si era specializzata in Anestesia a pieni voti, per cui la logica conseguenza sarebbe stata anche per me seguire i suoi passi e frequentare la medesima facoltà, ma la mia innata ribellione mi spinse a deragliare da quel percorso e a sceglierne uno che mi avrebbe permesso di studiare autori che amavo e di allargare l’area della coscienza come predicava Allen Ginsberg, e che, nella peggiore delle ipotesi, mi avrebbe portato a insegnare inglese in qualche scuola, cosa che per altro ho anche fatto! Negli anni dell’università ho avuto due maestri straordinari: Guido Fink e Franco La Polla. Da Fink ho imparato a non dare mai nulla per scontato, a guardare il mondo da punti di vista improbabili, come ad esempio quello dei fratelli Marx, a rompere gli schemi di certa critica letteraria e a spingersi oltre. Con La Polla ho toccato con mano il Sogno Americano, imparato i canti marinari degli stati del sud degli USA, ma anche le canzoni di Woody Guthrie e di Pete Seeger (quelle di Dylan le conoscevo già io meglio di lui!) e ho capito la grandezza di certo cinema e di tanta letteratura americana. Entrambi sono stati fondamentali per la mia formazione di americanista e, chi per un verso chi per un altro, entrambi hanno trovato posto anche tra le righe delle mie canzoni e, sicuramente, nel lavoro di traduzione e adattamento che negli anni ho fatto sulle canzoni di Woody Guthrie, di Bob Dylan, di James Taylor e ultimamente di David Crosby.
F. L. : Poi però mi pare importante la tua collaborazione con i Nomadi non solo per la tua presenza in alcuni album del gruppo ma perché quel lavoro di folk-singer mi pare caratterizzi il tuo profilo musicale
M. B. : La mia collaborazione coi Nomadi nasce nel 1978, quando Dodo Veroli (allora produttore del gruppo) ascoltò una cassetta con alcune mie canzoni che gli fu data da Chris Dennis, all’epoca anima musicale della band emiliana. Dodo mi chiamò per avere altre canzoni e io gli diedi una decina di pezzi. In quel periodo avevo un mio gruppo con cui portavo in giro le canzoni nel circuito dei Festival de l’Unità. Avevamo uno spettacolo che alternava canzoni mie con alcune di Jannacci, le prime canzoni di Bertoli (ero, e sono tuttora, un buon amico di Marco Dieci) e qualcosa di Ivan Della Mea e Gualtiero Bertelli. Ricordo che Dodo veniva alle prove del mio gruppo e cercava di arrangiare, in modo nomade diceva, i miei pezzi. Non sempre quegli arrangiamenti incontravano il favore mio e degli altri musicisti, ma tant’è.
Alla fine Dodo mi propose di fare un album intero con canzoni mie, e così fu. A ottobre del 1978 mi ritrovai a Carimate, agli Stone Castle Studios a registrare l’armonica su alcune mie canzoni, assieme a Maurizio Solieri (che allora suonava la chitarra anche con me, oltre che con Vasco!) e a Glauco Zuppiroli (bassista che sostituì Umberto Maggi nella registrazione del disco). Il mio tastierista di allora, Paolo Poggi, mi suggerì caldamente di parlare con un suo amico editore musicale prima di firmare alcunché con Veroli: si era sparsa la voce che i Nomadi fossero molto disinvolti con i pezzi scritti da giovani autori poco tutelati. Effettivamente anche le prime canzoni di Guccini vennero depositate in SIAE da personaggi che di quei brani non conoscevano neppure la melodia! C’è da dire che se Modena ha dato al mondo della musica artisti unici e musicisti eccezionali, ha però anche messo in circolazione personaggi improvvisati e privi di qualsiasi competenza musicale, più abili nell’accaparrarsi diritti non dovuti che di muoversi professionalmente nel mondo dello Show-Biz.
All’epoca di Naracauli e altre storie i Nomadi erano in una fase di stallo, a loro serviva un repertorio nuovo, con canzoni fresche e soprattutto diverse da quelle cantate fino a quel momento da Augusto. Le mie canzoni erano esattamente ciò che stavano cercando e servirono a riportare in auge il gruppo e, in un certo senso, mi aiutarono a sbarcare il lunario. In un paio di occasioni sono stato invitato sul palco da Augusto a cantare assieme a lui le mie canzoni: ricordo a Reggio Emilia nel 1983 nel ventesimo compleanno dei Nomadi, e qualche anno più tardi a Modena in quella che fu una sorta di numero zero di quegli eventi noti col nome di Modena 29 settembre: una serie di concerti organizzati dal Comune ogni anno a fine estate in onore dei musicisti modenesi. Ricordo Augusto con affetto, così come ricordo il buon rapporto di amicizia che avevo con altri componenti della Band come Chris, Umbi e Gian Paolo Lancellotti a cui ogni anno, un gruppo di artisti capitanati da Vanni Cigarini e da Ketty Simonini Lancellotti, organizza un concerto tributo a lui dedicato e che si tiene in agosto a Mandrio di Correggio. Una gran bella festa in musica a cui hanno partecipato musicisti importanti come Chris Dennis, Ellade Bandini, Michele Gazich, Amos Amaranti, Marco Stella, Marco Formentini, Gianluca Tagliavini e tanti altri che in qualche modo si sentono affini allo spirito di Lancellotti e alla sua grande passione per la musica di qualità.
F. L. : Le storie raccontate di Naracauli alternano episodi privati a sogni possibili sulla falsa riga dei lavori di Guccini, Bertoli, in parte Curreri e Vasco, non a caso artisti con cui hai collaborato. E’ così? E se è così perché questo modo di raccontare è tipico della realtà emiliana?
M. B. : Credo che ci sia un minimo comun denominatore, una sorta di forma canzone che ha radici nella cultura popolare, nel racconto orale, da cui sia Guccini sia Bertoli hanno attinto a piene mani, se pur in modi diversi. La prima canzone che scrissi si intitolava Capodanno, ed era una ballata sullo schema delle Osterie di fuori porta di Francesco. Memore di Dylan che andava a far sentire le sue canzoni a Woody Guthrie, decisi di far sentire la mia composizione a Guccini. Per intercessione di Piero (fratello di Francesco) e della sua amica Mara riuscii ad avere un appuntamento col Maestrone, e un pomeriggio assolato di primavera mi presentai in via Paolo Fabbri 43, con un cartone da 6 bottiglie di Lambrusco e la mia chitarra.
Francesco fu molto cordiale, ascoltò con pazienza la mia canzone e alla fine mi disse che sì, andava bene, però sarebbe stato meglio usare la rima. Io all’epoca ero fanatico dei poeti Beat e del verso libero e trovavo la rima una costrizione, una gabbia da cui evadere. Beata gioventù! Poi Francesco mi fece ascoltare una canzone su cui stava lavorando, qualcosa di assolutamente fuori schema rispetto alle altre sue composizioni. Mi sono ispirato a un verso della Bibbia in ebraico e che significa Sentinella, quanto resta della notte?, mi disse, e mi cantò alcune strofe di quella che poi sarebbe diventata Shomèr ma mi-llailah? Nel frattempo sua moglie (la prima, la Bobona) cominciò ad affettare del salame, aprimmo il lambrusco e cantammo un po’ di canzoni insieme finché a mezzanotte me ne tornai a casa. Con Francesco poi ci siamo visti altre volte, in varie occasioni diverse, ed è sempre stata una gioia per me incontrarlo e confrontarmi con lui sui più svariati argomenti. Credo di avere un debito con Francesco e non solo per l’uso della rima! La mia Joe Mitraglia infatti voleva essere in un certo senso una risposta alla sua Locomotiva. Non ero tanto d’accordo con la chiusa di quella canzone: e che ci giunga un giorno ancora la notizia di una locomotiva come una cosa viva lanciata a bomba contro l’ingiustizia…! In quegli anni Settanta a Bologna, e non solo, si respirava un’aria pesante. Quelli dell’autonomia si salutavano nei corridoi dell’università facendo con la mano il segno della P38, ogni giorno la stampa riportava notizie di pestaggi, sparatorie, bombe e attentati vari. Quei versi mi sembravano pericolosi in quel momento. Per dare il mio punto di vista su ciò che stava capitando in Italia in quegli anni scrissi Joe Mitraglia. La canzone racconta la storia di un partigiano che continua a sparare dopo il 25 aprile per le vie di Modena per ripulire le strade dai fascisti rimasti o per vendicarsi di qualche torto subito. Essendosi ormai esposto oltre ogni limite, e rischiando di mettere in cattiva luce la fama dei Partigiani modenesi, gli stessi compagni di Joe Mitraglia si trovarono costretti a eliminarlo tendendogli un’imboscata. Ho utilizzato questo personaggio e i suoi misfatti come metafora per raccontare quelle frange violente dell’autonomia, quei compagni che sbagliano che in quegli anni di piombo si nascondevano dietro alle sigle BR e GAP (Gruppi Armati Proletari) rubando l’acronimo alle più gloriose Brigate Partigiane e ai Gruppi di Azione Partigiana. La canzone ha un finale sospeso, non prende posizione né a favore di Joe Mitraglia, né a favore di chi lo elimina. Ho voluto rappresentare una posizione assai diffusa in quegli anni, quella che aveva come slogan: né con lo stato, né con le BR.
Naracauli racconta il calvario dei minatori del Sulcis Iglesiente che mi è stato ispirato da una vacanza in Sardegna nel 1974. All’epoca non si parlava più delle miniere abbandonate e di come erano state chiuse in fretta e furia, obbligando migliaia di minatori a emigrare o a trovarsi un lavoro diverso: che in Sardegna in quegli anni significava pastorizia o arrangiarsi arrischiandosi anche ai confini della legalità. La canzone è stata una hit dei Nomadi quando ancora c’era Augusto ed è ancora molto popolare tra il pubblico sardo. Una cover band dei Nomadi di base in Sardegna, in onore della mia canzone ha voluto chiamarsi Naracauli e col suo leader, Giacomo Contu, abbiamo intrecciato una amicizia virtuale attraverso il computer e ci scambiamo idee e canzoni. Recentemente Giacomo ha scritto una canzone che trovo bellissima dedicata a Beniamino Zuncheddu, quell’ergastolano che si è fatto 33 anni di carcere pur essendo innocente e alla fine è stato rilasciato essendo caduta l’accusa. Anzi, vorrei segnalare questa band e la canzone Beniamino racconta a Elena Ledda, non solo perché rende giustizia di un fatto giudiziario accaduto in Sardegna, ma anche perché Contu ha sottolineato i momenti salienti di questa storia utilizzando sonorità sarde di prima qualità, come Stefano Pinna alle launeddas e i Tenores di Neoneli ai cori. Vedere che da una mia canzone è nato un gruppo il cui leader sta portando avanti un modo di scrivere canzoni e di raccontare storie della sua terra in musica, un po’ mi inorgoglisce.
F. L. : L’altro aspetto che caratterizza tutta la tua carriera è il rapporto con la lingua, per l’impegno alla Scuola Holden, su Guthrie e mi pare, soprattutto, sugli adattamenti di canzoni in inglese e vice versa come persino Bella ciao, perché questo aspetto ti appassiona tanto?
M. B. : A un certo punto ho smesso di scrivere. Non per sempre, ma per alcuni anni. Ho smesso non per mancanza di idee, e neppure per mancanza di argomenti. Semplicemente perché non ritenevo più necessarie, a me stesso in primis e in subordinata agli altri, le mie canzoni. Per questo ho cominciato a tradurre canzoni dall’inglese, un po’ su commissione e un po’ per passione. E’ vero che ho anche fatto il contrario: ossia ho scritto in inglese i testi per due canzoni piuttosto famose, e diametralmente opposte, come Figli delle stelle (Children of the Sky) di Alan Sorrenti e Bella Ciao (Talking about Liberty. Bella Ciao). Non sono diventato ricco con nessuna delle due versioni, ma entrambe danno gran lustro al CV!
Tornando al lavoro di adattamento e traduzione dall’inglese, il mio primo ingaggio è stato la traduzione delle canzoni del musical Dirty Dancing in italiano. Il committente era una catena di villaggi vacanze e credo che Fiorello, quando faceva l’animatore nei villaggi, si sia trovato tra le mani le mie versioni di quei brani!
Poi c’è stato il lavoro monumentale su Woody Guthrie che ha dato come frutti nel 2008 un convegno universitario internazionale curato da Franco Minganti e da me per l’Università di Bologna dal titolo Woody Guthrie e la dignità dell’uomo, la pubblicazione della prima antologia critica dedicata al cantautore americano, da me curata, intitolata Le canzoni di Woody Guthrie per i tipi di Feltrinelli sempre nel 2008, e uno spettacolo itinerante, dal medesimo titolo del libro, con cui ho portato in giro per festival e manifestazioni culturali dal 2008 al 2012, le canzoni di Woody tradotte in Italiano intervallate dalla lettura di testi e dalla proiezione di immagini e filmati d’epoca. Di quel periodo vorrei ricordare un momento particolarmente intenso nella mia carriera. Nel 2009 ero stato invitato a Sarzana all’International Guitar Meeting a portare le mie versioni italiane delle canzoni di Woody. Ero lì anche per presentare il mio libro assieme a Nora Guthrie, figlia di Woody. Nora mi fece conoscere Beppe Gambetta e gli chiesi se poteva darmi una mano sul palco accompagnandomi con la sua chitarra. Mentre provavamo si unì a noi anche Bob Brozman.
Quando salii sul palco, dopo un paio di canzoni vennero su anche Nora Guthrie, Sara Jane Guthrie (figlia di Arlo) e insieme cantammo in italiano Roll On Columbia (Scorri Columbia), in quel momento credo di aver toccato il cielo con un dito! Con Nora e con il gruppo che gestisce i Woody Guthrie Archives di Tulsa in Oklahoma ho mantenuto ottimi rapporti di amicizia e collaborazione.
Lo sguardo di Woody Guthrie sul mondo è qualcosa che ti porti dentro e che ti condiziona nei giudizi sulle cose della vita, sui fatti del mondo, sullo scrivere canzoni e sul raccontare storie. E’ uno sguardo potente e limpido che non ammette incertezze e che non cede a compromessi. Uno sguardo che è difficile da tenere, perché non ha nulla da nascondere e niente da perdere.
La mia fascinazione per Woody ha radici lontane, risale agli anni dell’università. Se è tornato a galla nella mia mente e sulle corde della mia chitarra è per colpa di Baricco! Dal 1994 al 2009 ho insegnato canzonette alla Scuola Holden di Torino. Sono stati anni meravigliosi, vivaci non solo intellettualmente, ma anche creativamente. Si sperimentava, si inventava, si montava e si smontava di tutto, e tutto quello che si costruiva diventava un successo. Quando Baricco e Vacis decisero di mettere in piedi lo spettacolo Totem chiesero a Roberto Tarasco, a Nicola Campogrande e a me di dare una mano per le musiche. Ci dividemmo i lavori e io, con i miei musicisti, mi occupai dei sottofondi musicali da suonare dal vivo durante le letture di Carver e di Saroyan fatte da Baricco sul palco. Un giorno Baricco mi chiese: cosa salveresti su un’isola deserta se dovessi portarti una sola cosa? Woody Guthrie, gli risposi. Bene e cosa ci canteresti di Woody dentro a Totem? E così io con la mia band, nelle varie repliche dello spettacolo in giro per l’Italia, raccontai e cantai Deportee, una canzone tremenda su un incidente aereo in cui persero la vita una cinquantina di migranti stagionali durante il volo di rimpatrio in Messico. Era da poco successo il naufragio di Otranto, quel venerdì santo del 1997, in cui morirono 81 albanesi tra cui 16 ragazzini. Bastò quella canzone per far capire tante cose e per far vedere le tragedie del mondo, anche solo per pochi minuti, attraverso lo sguardo di Woody al pubblico presente a teatro. Purtroppo le stragi di migranti in mare non si sono mai fermate, anzi, se possibile sono peggiorate, e per questo sono convinto che non si debba mai smettere di cantare Deportee.
F. L. : Recentemente hai partecipato al disco di Gazich e Sirianni sugli inediti di Michele Straniero, un musicista dall’impegno monumentale per il lavoro sul folk revival e la canzone politica. Altri progetti per il futuro?
M. B. : E’ stato un invito che mi ha fatto Michele Gazich e che ho accettato con entusiasmo. Tra l’altro il motore di questa avventura è stato il nipote di Michele Straniero, Giovanni, che ha messo a disposizione di Gazich e Sirianni l’archivio monumentale dello zio. Ho conosciuto Giovanni recentemente, è una persona straordinaria, un fine operatore culturale da cui possiamo aspettarci molto in futuro. Il lavoro che Gazich e Sirianni hanno fatto sui testi di Straniero è straordinario: non solo hanno fatto conoscere un lato intimo e inedito del cantautore torinese, ma hanno saputo vestire quelle poesie con una serie di melodie che hanno fatto risaltare l’unicità di quei versi senza snaturarli, anzi riconducendoli a uno stile compositivo molto attuale, sebbene radicato nella tradizione. Non credo che sia stato un lavoro facile musicare quei testi, Gazich e Sirianni hanno fatto un lavoro egregio. Il mio contributo all’album si è limitato a dare qualche pennellata con l’armonica a un dipinto che era già ben eseguito. Vorrei però ricordare che l’album Domani si vive e si muore ha raccolto contributi ben più importanti del mio, in primis quello di Giovanna Marini che su quelle note ci ha lasciato in eredità l’ultimo suono della sua voce.
Recentemente sono andato in pensione e sto dedicando molto tempo alla messa in ordine e catalogazione dei miei lavori. Mi son accorto di avere parecchie canzoni, poesie e scritti vari nei cassetti di casa e nei prossimi mesi vorrei dare un senso a queste cose. Conscio del fatto che oggi vivere di musica sia più una missione suicida che una possibilità, con tutte le eccezioni del caso ovviamente, vorrei comunque organizzare i miei lavori musicali in alcune raccolte che intitolerei Canzoni nate a Modena e Altre città da cantare. Per sistemare queste mie canzoni sto coinvolgendo amici musicisti e produttori vecchi e nuovi, come Michele Gazich e Amos Amaranti, per citarne alcuni; il mio obiettivo è quello di lasciare ai posteri qualcosa di organico per chi avrà voglia e cuore di ascoltare. Mi piacerebbe anche coinvolgere i vecchi colleghi del gruppo Cantare in italiano: una manciata di cantautori, allora in erba, tenuti insieme dalla sapiente regia di Edoardo De Angelis nei primi anni Ottanta del secolo scorso. Molti di questi sono diventati nomi importanti della canzone italiana e mi riferisco, tra gli altri, a Marco Ongaro, Claudio Sanfilippo, Giorgio Bassi, Max Manfredi coi quali condivido un profondo sentimento di amicizia e di stima reciproca, oltre a una visione condivisa dell’arte di scrivere canzoni.
Davide dice
Caspiterina Beta! Come ti chiamiamo in tanti, una bella storia, belle le esperienze ed i contatti, molte per me inedite! Complimenti ragazzo