La via del sale, sulla strada con Michele Gazich.
La musica è l’arte dell’incontro. E’ una frase che scivola spesso tra le labbra di Michele, mentre si ferma a parlare con vecchi e nuovi amici, mentre racconta le sue canzoni sul palco e, probabilmente, mentre cuce assieme le immagini che affiorano in superficie sul suo mare della creatività, nell’intimità del suo comporre. La via del sale è in un certo senso il racconto di questa arte dell’incontro.
I primi a venirci incontro su questa mulattiera sono i suoni. Suoni che provengono da antichi strumenti, portati in spalla da musicisti che hanno attraversato il cammino di Michele nell’arco di una vita. Perché La via del sale è anche il racconto di una vita. Questi suoni sono prodotti da strumenti come il piffero dell’Appennino (Stefano Valla) e la zampogna a chiave del Sannio (Jacopo Pellicciotti) che ci rimandano i colori di una stagione fatta di cammino e di bivacchi, di zoccoli che scivolano sulle pietre levigate dell’Appennino e di voci senza età che fanno vibrare le corde profonde della nostra anima. Le percussioni (Alberto Pavesi) e il basso (Paolo Costola) marcano il ritmo di questa lenta e faticosa processione, di sacchi pesanti caricati sulla schiena dei muli, di mani che si stringono ora alle redini ora al vincastro e si appoggiano al bastone per cercare conforto e sostegno. Il bastone a cui si appoggia Michele è il legno del suo violino, e il vincastro è l’archetto con cui sprona i suoni a venire alla luce per illuminare e dare profondità alle parole del suo racconto. Certo, ci sono altri sostegni che alleviano la fatica di questa strada e che aiutano Michele, e lui con noi, nel portare questo carico oltre la china del monte, e questi sono le note sicure del Maestro dell’anima Marco Lamberti, le sfumature contrappuntate delle sorelle Alessandra e Francesca Rossi (clarinetto e violoncello) e lo squillo sommesso di Pietro Campi (tromba).
Questi i compagni di strada che accompagnano Michele lungo la via del sale.
Poi c’è il racconto. Le immagini evocative e spietate, che dipingono l’opacità di questi nostri tempi, e che si rincorrono di canzone in canzone lungo La via del sale, sono percorse da quel ghost of electricity che fa vibrare e scuote le parole, dando forma e sostanza a visioni che fissano, nel tempo di un’istantanea, l’immagine di ciò che siamo diventati. Libri che annegano nell’oblio, barricate issate dentro e contro noi stessi, l’ombra minacciosa della guerra su questa vita che non vive, la nostra anima che svapora fino a diventare un’ombra da vendere per tre monete, l’impossibilità di fuggire da tutto questo per incapacità e ignoranza o semplicemente perché dal buio che non ha mani scaturisce una fiamma che divorerà il ghetto di Salonicco.
Queste le parole, che sono esse stesse il sale legato sul basto dei muli che si trascinano lungo la mulattiera, e che ci vengono raccontate da tre voci e da un coro. La prima voce (Michele Gazich), che ci accompagna lungo tutto il viaggio, è una voce bisbigliata e non sempre gradevole
- come il rimprovero di un padre attento e severo – ma ferma e precisa come la lama che divide il bene dal male, la luce dal buio. La voce della madre dell’uomo che vendette l’anima (Rita Lilith Oberti), ruvida e per nulla confortante, amplifica l’aura drammatica che avvolge la storia di questo personaggio così emblematico e inquietante e che rispecchia tanta umanità che ci circonda. E infine l’urlo di dolore e di rabbia (Salvo Ruolo) che ha in gola l’aria secca del fuoco (quella stessa del poeta Bartolo Cattafi, conterraneo di Ruolo) e che sembra gridare a tutti noi, di vicolo in vicolo, di casa in casa, che i versi del poeta Cattafi non devono annegare nell’oblio assieme ai libri di Colonia, ma devono tornare alla luce, come alla luce deve ritornare il verbo di dio, che già l’apostolo Giovanni, 2000 anni, fa aveva individuato come l’unica via salvifica.
La via del sale è un album maturo, lucido e preciso. Non lascia margini al dubbio o al fraintendimento. E’ una album di rara bellezza e di alta poesia, unico nel panorama italiano e forse anche in quello europeo. Non troverete in queste canzoni il motivetto facile e accondiscendente, da canticchiare a fil di labbra, ma troverete una possibile chiave di lettura di questi strani tempi moderni che stiamo vivendo e una mappa, sgualcita e sbiadita, ma ancora ben leggibile, del percorso da seguire per salvarci l’anima.
Maurizio Bettelli
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