Signore e signori, questo è il disco che aspettavamo da anni. Un album che fosse un omaggio a un territorio –il Monferrato-, ai suoi personaggi, alle sue storie ma soprattutto a un genere musicale a noi molto caro, da sempre: il folk. Folk, ovviamente, inteso all’anglosassone, in una accezione ampia e non certo stilisticamente soffocante, come piace a noi, sinonimo di libertà creativa e di coerenza nei contenuti. Simpatica e solidale la definizione che ne dà Paolo Conte, da tempo grande estimatore della band di Acqui Terme, e non solo per appartenenza territoriale (“musica selvatica”), ma –lasciateci dire- sarebbe stato sufficiente il semplice termine “folk” per ricomprendere il tutto. Potente, ispirato, a tratti magico a tratti volutamente rustico e ispido, “Munfrà” è il tributo consapevole al folk piemontese (e non solo) sanguigno e malinconico degli anni Ottanta e Novanta, fatto di Ciapa Rusa, Lou Dalfin e Suonatori delle Quattro Province, Tre Martelli, Cantovivo e Tendachent e tutte quelle suggestioni che arrivavano dalle aree di cultura musicale celtica che animavano i sogni di noi folkettari d’antan. Un tributo che si esprime anche attraverso la partecipazione diretta di molti dei protagonisti di quegli anni di grande fervore musicale, ospiti eccellenti e pertinenti: Steve Wickham dei Waterboys, Hevia, Banda Osiris, Eugenio Finardi, Sergio Berardo, Mario Arcari, Nabil Salameh e Michele Lobaccaro dei Radiodervish, Betti Zambruno, Filippo Gambetta, Vincenzo Zitello, Fabio Rinaudo e Daniele Caronna dei Birkin Tree, Claudio Fossati, Andrea Masotti e Stefano Valla e tanti altri ancora. “Munfrà”, in sintesi, è il disco paradigmatico che celebra e tributa ma, nello stesso tempo, traccia il percorso che il folk del secondo decennio del 2000 deve (o dovrebbe) percorrere per dimostrare la sua vitalità, la sua bellezza, il suo stesso senso di esistere. Alla produzione artistica di Beppe Greppi (quattro anni di lavoro decisamente ben spesi) si deve soprattutto il merito di questo capolavoro, destinato a rimanere come testimonianza della bellezza del folk italiano e, speriamo, a essere imitato nelle sue fonti ispirative e nella sua perfezione esecutiva. Ascoltatelo e riascoltatelo, tanto è divertente e pieno di stimoli, e non annoia mai. Dateci un “Munfrà” per ogni regione storica italiana e avremo fatto quell’unità d’Italia musicale nel nome della qualità di cui sentiamo, ogni giorno che passa, la drammatica mancanza.
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Roberto G. Sacchi
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