Nel ricchissimo patrimonio folklorico spagnolo il Principato d’Asturie, con il suo secolare isolamento, occupa un posto di primo piano che solo da pochi anni inizia ad essere riconosciuto al di fuori degli stretti confini dell’antichissimo Principato. In verità il lavoro di ricerca e di recupero risale almeno alla fine degli anni Settanta (ma le registrazioni di Alan Lomax risalgono al 1945!) ma ha dovuto passare per almeno una decade di presa di coscienza interna, anni durante i quali sono nati diversi gruppi di musica popolare e sono tornati ad essere personaggi pubblici riconosciuti i migliori interpreti della tonada ed i migliori gaiteros.
L’attualità è quantomai felice: le poche decine di appassionati sono ora migliaia, il bable – idioma locale – sta vivendo una seconda giovinezza ed il disco del miglior gaitero asturiano del dopoguerra, José Ángel Hevia Velasco, sta vendendo centinaia di migliaia di copie in tutto il mondo, grazie all’invenzione della gaita elettronica.
Ma a quale prezzo? È forse ancora presto per dirlo, ma è certo che se il prezzo di tanto successo è la colossale banalizzazione che il folk asturiano sta subendo grazie (!) a Hevia, esso risulterà sicuramente molto salato ai posteri.
Ed in tutto ciò cosa c’entrano le MUYERES dell’album che stiamo trattando? C’entrano, e c’entrano per bene! Perché il collettivo che sottende allo splendido lavoro etnomusicologico che stiamo presentando è – ahimè – anche complice del pateracchio di cui sopra, insieme allo stesso Hevia (per quanto ancora stimato teorico della digitazione per la scala cromatica della gaita asturiana?) ed alla grande cantante Mariluz Cristóbal Caunedo.
Terminato il cahier de doléances, ma era d’obbligo, resta da dire che il secondo album (doppio, il primo è del 1994) che esce dall’impegno dell’associazione “Música Tradicional Muyeres” è in grado di far appassionare alle Asturie anche i palati sopraffini. Ventisei tracce (più un video per PC e Mac tutt’altro che dilettantistico curato dall’università di Oviedo), quasi tutte danze sorrette da voci e panderetas, che ci introducono alle più varie tradizioni regionali: strofe al sole ed alla luna di chiaro ascendente celtibero, danze di mezzanotte, canti di processione dall’insospettata allegria, balli il cui solo scopo era il gioco collettivo (un elemento sociale importante negli isolati villaggi di montagna dei Picos de Europa), canti di lavoro e romances, il tutto rigorosamente al femminile. Oltre che fedele lavoro di ricerca, infatti, l’album è doveroso omaggio alla donna asturiana, grande protagonista della vita e della tradizione di una regione che, anche al di là delle ragioni geomorfologiche, ha conosciuto l’isolamento e l’abbandono.
A proposito di isolamento: perché, questa è una domanda che rivolgiamo ipoteticamente al ricercatore nonché curatore/produttore di FONO ASTUR Lisardo Lombardía, in un lavoro così attento al particolare al punto da fornire per ogni brano il nome dell’informatore ed il luogo di reperimento, le basi coreutiche, il testo ed un breve inquadramento storico, non si è pensato che il bable potesse essere “supportato” da qualche altra lingua più conosciuta al qualche miliardo di persone che vive lontano da Oviedo e Gijón (pardon: Uviéu e Xixón)?
Non lasciamo che il messaggio viaggi solo con i dischi di folk sintetico.
Alberto Stanghellini
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