EMI 7243 5240 252 6,1999
ASTURIE/ETNO POP
Ebbene sì, cari lettori. E’ questo il tormentone dell’inverno: in questo disco compare l’ormai celebre ‘Busindre Reel’, reso popolare dal fascinoso spot Opel. Dove non sono riusciti livelli differenti di prostituzione, più o meno mascherata, da parte di gruppi irlandesi al tramonto di carriera, oppure ardite quanto commerciali contaminazioni di graziose violiniste canadesi o giù di lì (ogni riferimento NON è casuale), è bastato qualche passaggio per una manciata di secondi in una delle pubblicità meglio riuscite degli ultimi anni. Una major label come EMI ha fatto il resto, fiutando l’affarone, stampando il disco in Italia e – cosa più unica che rara – con note interne in italiano, seppure scarsissime e piene di strafalcioni, promuovendolo a dovere fino a portarlo in testa alle classifiche. Il che, per un disco a base di cornamuse, non è poco: soprattutto, non è affatto usuale. Siccome il parentado vostro tutto sarà già venuto alla carica per chiedervene ragioni e si sarà pure meravigliato per la vostra ignoranza su questo …fondamentale suonatore di cornamusa (‘ma come, non sei tu che ascolti questa musica?’: dite la verità, dai…), sia pur tardivamente, ecco qualche noticina anche da parte nostra.
Hevia – meglio, José Angel Hevia – è uno dei tanti virtuosi di cornamusa delle Asturie, usciti dalla gande scuola gaitera di quella nazione celtica. Allievo di Armando Fernandez, passato attraverso i vari stadi dell’evoluzione musicale tradizionale sino ad approdare a notorietà con gli ultimi lavori, ha ormai abbandonato la tradizione per imboccare i sentieri di un certo pop etnico ad effetto, che spesso comunque trasuda delle indubbie radici culturali del personaggio, tecnicamente più che bravo, seppure in un contesto spesso imbarazzante. Nei brani di questo ‘No Man’s Land’, Hevia suona spesso la cornamusa grillera asturiana, whistle e soprattutto l’ormai famosa ‘cornamusa elettronica multitimbrica’ imbracciata nel video di ‘Busindre Reel’, da egli stesso progettata e costruita. Nei vari brani che compongono il disco (per più della metà si tratta di tradizionali!), la voce – solo femminile – è utilizzata in funzione esclusivamente strumentale; per il resto, insieme ad una strumentazione tipicamente rock, c’è largo uso di tastiere e programmazioni varie, con un risultato a suo modo indovinato ed a tratti perfino affascinante sotto il profilo degli arrangiamenti. Sia ben chiaro: un disco assolutamente commerciale e del tutto fuori dal seminato di questa rivista. Tuttavia, un discreto prodotto in quel settore, dato per vincente nel prossimo futuro da tutti gli analisti di cose musicali, che viene denominato ‘etno-pop’ o – più semplicemente ed erroneamente – ‘musica etnica’ tout court. Simile al folk quanto lo champagne lo è alla gazzosa, ‘No Man’s Land’ è gradevole al pari di quest’ultima. Contaminato e contaminante.
Giorgio Bravo
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