NOI SUONEREMO A FOLKEST 2011. I GRUPPI VINCITORI (1)
Alle selezioni territoriali di Arezzo (2 dicembre 2010) si sono imposti i romani Cantsiléna. In attesa di ascoltarli dal vivo sui palchi di Folkest, li abbiamo intervistati per cominciare a conoscerli.
Cominciamo dal nome, davvero strano. Un gioco di parole o c’è dell’altro?
Cantsiléna è una parola dialettale campana (precisamente della provincia nord di Caserta, da cui proviene la famiglia del nostro cantante), vuole indicare un canto o una nenia ripetuta ciclicamente, una cantilena insomma. L’abbiamo scelta come nome del gruppo perché descrive bene il materiale di partenza della nostra musica, specie quello testuale… In più a volerci trovare un gioco di parole diventa il canto di un sileno, di un fauno. Anche questo racconta molto bene i nostri intenti e il nostro immaginario.
Da quando siete attivi come gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei singoli componenti hanno influito sulla creazione di un suono d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi conosce…
L’incontro avviene durante la primavera dello scorso anno a Montelparo, nelle Marche, durante la prima edizione di Frame Drums Italia (www.framedrumsitalia.it). Si tratta di un festival internazionale dedicato ai tamburi a cornice di cui due dei componenti del gruppo sono anche organizzatori. Cantsiléna nasce lì, sulla Salaria, sotto un cielo plumbeo di centro Italia. Paolo Rossetti è, per l’appunto, un esperto di tamburi a cornice dell’area mediterranea e centrasiatica. Ha studiato con prestigiosi maestri come Glen Velez e Zohar Fresco e affianca a questo l’attività di musicoterapeuta. Alberto Ferraro, oltre che un valente cantante, è un attore e didatta molto prolifico, specializzato nella commedia dell’arte e nell’uso scenico e la costruzione della maschera. A lui si deve la ricerca “sul campo” del materiale lirico tradizionale che rimodelliamo. Peppe Frana è un polistrumentista specializzato in musica classica ottomana e in altre tradizioni modali extraeuropee. Ha avuto la fortuna di studiare, tra gli altri, con Ross Daly e suona svariati strumenti a corda (oud turco, robab afghano, lira cretese ecc.).
Il vostro repertorio e le vostre fonti ispirative appaiono molto eterogenei, ma nello stesso tempo la vostra scelta stilistica è unitaria e riconoscibile. Una perfetta alchimia? Una fortunata coincidenza?
Ci verrebbe da dire che questo è il risultato di un incontro felice sul piano umano, prima ancora che su quello artistico. Quando abbiamo iniziato a creare musica insieme è venuto spontaneo a tutti mettersi in gioco piuttosto che arroccarsi nei propri “habitat” musicali e nei propri stilemi. Essere a proprio agio nel fare questo è stata una gran fortuna, poi c’è voluto tanto labor limae!
Voce, corde, percussioni: una proposta che si può definire minimalista o lo considerate un po’ riduttivo?
Minimalista ci può stare, ma forse sarebbe meglio parlare di sintesi, nel senso che proprio l’equilibrio che si è venuto a creare tra noi ci ha spinti a cercare di tirare fuori il massimo da una formazione ridotta. Anche il nostro disco, “Lungu Sonnu”, suona piuttosto asciutto e forse in alcuni passaggi minimale. È stata anche una scelta estetica, cioè la ricerca di una formula per mettere insieme materiali tradizionali di diversa provenienza cercando di evitare un sound “world music”. Quando si è soltanto in tre gli elementi con cui giocare per rendere le composizioni “rotonde” sono innanzitutto le dinamiche, l’interplay e soprattutto i silenzi, il respiro. Per questo abbiamo deciso di registrare quasi totalmente in presa diretta. Ciò non vuol dire che un domani potremmo decidere di osare un po’ di più con gli arrangiamenti!
Tradizione e composizione: due mondi compatibili per Cantsilena?
Necessariamente. Preservare e imbalsamare la tradizione non è il nostro ruolo ne’ il nostro obiettivo artistico. La tradizione è una sostanza vivente, che deve manifestarsi sempre in forme nuove e in qualche modo “cantare” il presente. Suonare musica tradizionale per noi non vuol dire sempre trovare nuove chiavi interpretative, nuove soluzioni stilistiche e anche creare nuovo materiale. Anche a costo di violare qualche “sacramento” della filologia, non abbiamo di queste preoccupazioni! Come dice il famoso aforisma di Mahler, bisogna essere custodi del fuoco e non cultori delle ceneri.
La giuria di Arezzo ha particolarmente apprezzato sia l’impatto emotivo del vostro live, sia la vostra capacità tecnico-esecutiva, sia una certa raffinatezza negli arrangiamenti. Vi riconoscete nel giudizio?
Ci riconosciamo e ne approfittiamo per ringraziare la giuria. È stata davvero una bella soddisfazione vedere riconosciuta la bontà del nostro lavoro. È il tipo di gratificazioni che davvero ci aiutano ad andare avanti ed evolvere la nostra proposta artistica.
Voi operate a Roma. Musicalmente, cosa pensate che offra la capitale, oggi? Com’è la situazione della musica dal vivo? E quella delle produzioni discografiche?
La situazione è complicata come altrove per chi opera al di fuori degli schemi del mercato musicale, sia dal punto di vista del live che delle produzioni discografiche. Però ultimamente si ha la sensazione che qualche crepa nel muro si stia aprendo. Forse il nostro ruolo storico è di infilarci in queste crepe come un rampicante e creare nuove forme di vita.
CONCORSO NAZIONALE “Suonare Folkest” Tutte le informazioni.
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