Il vostro è un nome particolare, con un suono esotico: da dove deriva?
Almoraima è un lembo di terra situato tra le province di Jerez de La Frontera, Cordoba e Siviglia, che rappresenta il crocevia tra la musica popolare andalusa, già ricca di caratteri orientaleggianti, patrimonio espressivo del popolo nomade dei gitani, e la cultura musicale dei mori e degli ebrei . La derivazione del nome è indubbiamente araba (Al-moraima ), che letteralmente vuol dire “terra morena”.
Da quando siete attivi come gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei singoli componenti hanno influito sulla creazione di un suono d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi conosce…
Il gruppo nasce nell’estate del 2007 dall’incontro tra il bassista Luigi Baldassarre, la percussionista etnica Manuela Salinaro e il chitarrista flamenco Massi Almoraima, autore delle musiche e dei testi di “Amor Gitano”, il primo lavoro discografico del gruppo.
Il progetto nasce proprio dalla volontà di dar forma a queste composizioni fondendo le tre diverse provenienze: il basso dalla fusion; la chitarra dal flamenco, mentre le percussioni prendono gli armonici dalle antiche tradizioni persiane, arabo-indiane, dai dispari balcani, e dai colori tutti italiani derivanti dal folk campano. Più tardi , si aggiungono al gruppo Bruno Bernes, percussionista e cantante gitano proveniente dalla regione dei Pirenei francesi, e Saleem Anichini, violista di origini pakistane. Il gruppo inoltre si avvale della collaborazione di Virginia Nicoli al Bansuri, Rocco Nigro alla fisarmonica, Imma Vitello, danzatrice del ventre, e Cristina Galiotta al baile flamenco.
Il vostro repertorio e le vostre fonti ispirative si rifanno a modelli mediterranei, in particolare arabo-gitano-andalusi. Come mai questa scelta?
Crediamo sia la naturale conseguenza del nostro background, nonché del nostro spirito vagabondo che ci ha guidato negli anni della formazione a viaggiare largamente intorno al mediterraneo e sopratutto in Andalusia e Marocco, con l’intento di assorbire totalmente le musiche tradizionali che andavamo via via incontrando.
Presentate il vostro spettacolo, gli strumenti e il loro ruolo, la danza…
Quanta tradizione c’è nel vostro repertorio e quanta composizione?
Lo spettacolo nasce dalla mescolanza di più culture musicali, c’è dentro davvero di tutto. È nella nostra natura fondere forme, seguire istinto ed idee, cercando , nelle composizioni e negli arrangiamenti, un modo per comunicare il senso di profonda passionalità della tradizione andalusa, rosso fuoco, un po’ come la nostra terra del resto. Il nostro è un approccio festoso, un viaggio nella musica vista come un affaccio sul mediterraneo, una miscela di ritmi e melodie in continuo dialogo, dove la chitarra flamenco osa, esplora e sperimenta per ricreare e proporre melodie originali, il basso traccia linee essenziali dando profondità, le percussioni colorano d’arabesco con fraseggi, assoli e ricami, liberando le proprie capacità espressive, la viola, col suo suono caldo e morbido, evoca paesaggi lontani, mentre la voce, con il suo temperamento zingaro, è forse la cosa più difficile da definire. Lo spettacolo è impreziosito dalla danza araba, che con i suoi movimenti ipnotici ricorda le onde del mare, e dal baile flamenco, molto ritmato e coinvolgente.
La giuria di Coreno Ausonio ha particolarmente apprezzato, oltre alla vostracapacità tecnico-esecutiva individuale, anche l’impatto dell’insieme, il vostro essere gruppo. Vi riconoscete nel giudizio?
Ovviamente sì, scelta prioritaria è per noi suonare disposti in semicerchio, in modo tale da creare subito una forte intesa, fatta di sguardi, sorrisi e accenti, comunicando i passaggi emotivi che ci guidano nei pezzi e le idee che si sviluppano in corso d’opera durante l’esecuzione.
Voi operate in Puglia, specificamente in Salento. Musicalmente, cosa pensate che offra il vostro territorio, oggi, a chi non suona soltanto pizzica? Com’è la situazione della musica dal vivo? E quella delle produzioni discografiche?
La Puglia è una terra dai molti fermenti culturali, sia per la posizione geografica che per l’apertura che ha avuto negli ultimi anni grazie allo sviluppo di festival di musica etnica, che non prevedono l’esclusiva riproposta della pizzica. Sono nate principalmente formazioni che miscelano il folk con il pop e gruppi che sperimentano suoni acustici e ambientazioni più elettroniche, figli di una fusione tra tradizione folk, jazz e world o dub.
Per quanto riguarda le produzioni discografiche, abbiamo la fortuna di avere alcune piccole etichette di qualità: AnimaMundi, ormai una realtà consolidata nel panorama della musica etnica, Dodicilune, molto prolifica nelle pubblicazioni jazz e 11/8 Records, principalmente orientata verso moderne contaminazioni tra jazz, balcanica, elettronica e dub.
Lascia un commento