Quinta Rua, primo classificato nella selezione territoriale “Italia Nord Ovest” di Loano (tenutasi il 31 marzo scorso), suonerà nel corso di Folkest In Festa, la grande kermesse conclusiva di Folkest 2012 a Spilimbergo. In attesa di poterli ascoltare dal vivo, una breve intervista per conoscerli meglio.
Prima domanda d’obbligo: perché questo nome?
Quinta Rua è il nome di una delle “vie” del Ricetto Medievale di Candelo (BI) dove hanno sede le botteghe artigiane dei membri fondatori del gruppo Guido Antoniotti e Frenz Vogel, anzi la bottega di Frenz è la nostra vera e propria “sede sociale” dove si tengono le riunioni e le prove.
Da quando siete attivi come gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei singoli
componenti hanno influito sulla creazione di un suono d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi
conosce…
A fine 2002 a Guido è stato commissionato un concerto natalizio, e per l’occasione ha pensato di costituire una mini-orchestra biellese di musica tradizionale richiamando in servizio Frenz e Sandro Fusetto, suoi compagni di avventura anni prima nei REFOLE’ , poi Luciano Conforti, ex-membro tra l’altro dei MEIKENUT, con il suo amico ed allievo di ghironda Marco Petitti. Per completare la banda sono poi stati arruolati i componenti del gruppo di fresca costituzione TIRABUFFAND (Gabriele Gunella ed i fratelli Alberto e Marco Ceria) di lì a poco confluiti nei BALBALORD di Massimo Losito e Donatello Sizzano , anch’essi coinvolti nel progetto.All’inizio non possiamo non citare la presenza nel gruppo del suonatore e costruttore di ghironde Sergio Verna, che però ha dato forfait quasi subito preferendo non togliere tempo prezioso alla sua vera attività di abile artigiano.
Il risultato è stato mettere insieme esperti suonatori e ricercatori di musica popolare dal rigoroso taglio tradizionale ad altri più giovani e dinamici rockettari da poco convertiti al folk: contro ogni pronostico, le differenti esperienze umane e musicali tra i 10 elementi hanno innescato una miscela esplosiva e funzionale tra purismo e contaminazione a livello musicale, e tra maturità e freschezza a livello umano, tanto che quella che doveva essere una riunione occasionale si è consolidata e trasformata in un progetto stabile e duraturo che quest’anno festeggia il decennale.
Presentate il vostro spettacolo, gli strumenti e il loro ruolo, i musicisti e il repertorio…
Siamo un gruppo di dilettanti in gran parte autodidatti, suoniamo diversi strumenti a corde (ghironde, violino, bouzouki, tamburo a corde), strumenti a fiato (cornamuse, bombarda, piffero, clarino, tarota, ocarina, tin & low whistles, galoubet e altri flauti di ogni forma e dimensione), strumenti a mantice (fisarmonica ed organetto diatonico), per non parlare poi di svariati tipi di percussioni popolari (cajon, bodhran, takenettes) talune costruite con oggetti di uso quotidiano (mestoli, cucchiai) e materiale organico (ossa, corni), nonchè strumenti meno “convenzionali” auto-costruiti con materiali di recupero (ad esempio il bidon-bass, fatto con una tanica di kerosene, il manico di un badile ed una corda di decespugliatore). Molti di noi sono polistrumentisti e durante il concerto cambiano strumento in continuazione, ma il nostro strumento-base è la voce: cantiamo tutti e la coralità vocale oltre che strumentale è il nostro vero marchio di fabbrica e quello che ci distingue da tante altre formazioni
Per quanto riguarda le proposte dal vivo, premettendo che quando ne abbiamo l’occasione non disdegniamo di suonare da ballo (con musiche della tradizione presente al di qua e al di là delle Alpi), diciamo che tutti gli anni riproponiamo, opportunamente aggiornato e rinnovato, il repertorio di musiche natalizie della tradizione Piemontese-Occitana-Francoprovenzale da cui siamo partiti, mentre all’inizio della primavera portiamo in giro il nostro repertorio di canti del Maggio in ossequio ad una tradizione ancora molto viva in Piemonte e non solo.
Il più importante dei nostri progetti però è “Busiard Chi l’ha Contalo”, un concerto arricchito da letture e proiezione di immagini basato sull’omonimoi CD autoprodotto in cui abbiamo raccolto brani e canzoni delle nostre parti tramandatici oralmente negli anni da amici e parenti oppure rinvenuti da antiche partiture ,una delle quali ritrovata in un piano meccanico dei primi del ‘900 . Grazie in particolare a questo progetto ci sentiamo a tutti gli effetti ricercatori, custodi e portatori “sani” di una tradizione musicale forse meno ricca e conosciuta di quelle di altre zone del Piemonte ma non per questo meno interessante.
Sospesi fra musica per ballare e dimensione d’ascolto, collocarvi come genere è piuttosto difficoltoso. Quali sentite essere i vostri legami con il folk e con la musica acustica in generale?
Quinta Rua è un’atipica big band multistrumentale spalmata su due e a volte su tre generazioni, alcuni dei suoi componenti conducono più di un progetto musicale e suonano con altre formazioni, spesso in duo o trio quando addirittura non da soli. Forse quello che ci tiene insieme è proprio il fatto che per nessuno questo sia il progetto principale, musicale o di vita, ci unisce la semplice passione per la musica popolare, le sue atmosfere, i suoni, gli strumenti, i luoghi. Ci troviamo quasi tutte le settimane nel laboratorio di Frenz in mezzo al ricetto di Candelo, un posto incantato che trasuda storia e affascina gente di tutto il mondo, anche solo per “suonarne due”, chiacchierare e bere un bicchiere, festeggiare compleanni-matrimoni-filiazioni , assisterci mutuamente con le rispettive competenze professionali (che vanno dal medico all’artigiano), inventarci progetti e situazioni nuove e stimolanti: insomma per noi suonare questa musica , e parlo delle prove settimanali come dei concerti dal vivo, è un’occasione e insieme una scusa per trovarci e stare insieme nonché di frequentare situazioni ed ambienti a nostra misura. Già che si suona, poi, cerchiamo di farlo nel miglior modo possibile, lavorando coralmente sugli arrangiamenti dei brani finché non siamo soddisfatti di quello che esce dai nostri strumenti , è un suonare tra di noi e per noi qualcosa che vuole essere anche trasmessa agli altri perché partecipino alla nostra festa, e mi sembra che questo messaggio in genere sia recepito ed apprezzato da chi ci segue da tempo ma anche da chi ci incontra per la prima volta.
Partecipare a un concorso come “Suonare@Folkest”, cioè essere giudicati da una giuria per quanto
qualificata e non dal pubblico, che emozioni vi ha creato?
Il nostro indice di gradimento è sempre derivato dall’entusiasmo e dalla risposta immediata della gente che ci guarda e ci ascolta quando suoniamo, ma il fatto di esibirci davanti ad una giuria ed in un ristretto lasso di tempo, situazione per noi anomala ed unica, ci ha portato ad affrontare questa situazione in modo più professionale e meno spontaneo rispetto ai nostri parametri, basati più sull’interazione col pubblico e sull’estro del momento: ognuno di noi è stato investito di una maggiore responsabilità cui però alla fine è corrisposta una grande soddisfazione.
Voi operate al Nord Ovest d’Italia. Com’è la situazione della musica dal vivo nel vostro territorio
d’azione? E quella delle produzioni discografiche?
Purtroppo mancando le risorse finanziarie latitano anche i concerti, gli Enti Locali hanno pochi soldi (e quei pochi spesso spesi senza criterio) e gli sponsors non contribuiscono più di tanto, quindi l’unica strada percorribile sarebbe l’autofinanziamento. Il problema è che la gente è stata per troppi anni abituata al concerto “gratuito”: non è nella mentalità comune italiana (all’estero è tutta un’altra cosa) pagare anche solo 5 euro per vedere un concerto di qualcuno che non sia quotidianamente sui giornali o in TV, questo vale per tutti i concerti di “nicchia” e di qualità, che si tratti di folk come di jazz o di blues.
Per non parlare poi della situazione del ballo, dove l’aspetto di socializzazione prevale su quello culturale, sempre più gente si approccia al mondo della musica popolare e tradizionale, ma spesso lo fa con superficialità e leggerezza, tanto i suonatori quanto i ballerini, l’importante è l’aggregazione data dalle situazioni più che dalla qualità di quello che viene rappresentato e suonato; il “fare ginnastica” ballando una chapelloise o lo “strusciarsi” ballando una mazurca sono sovente fini a sé stessi, indipendentemente da chi suona e come lo fa; non dico che sia del tutto negativo, perché è giusto dare spazio anche ai neofiti, ma è molto limitante e frustrante per chi è anni che suona questa musica e crede in quello che fa.
Lasciamo stare poi il fattore “moda”, nel settore del bal folk ci sono gruppi, danze, musicisti, generi e stili musicali che per due o tre mesi sono sulla bocca di tutti poi di colpo non se ne sente più parlare , esattamente come succede per certi prodotti o certi personaggi da gossip o certi fatti di cronaca.
Quello che veramente ci irrita però, a livello locale, è il totale snobismo e disinteresse delle autorità pubbliche per la nostra attività. Indipendentemente dal colore politico gli amministratori locali a tutti i livelli (Regione-Province-Comuni), soprattutto chi dovrebbe occuparsi di cultura, non solo ci hanno raramente sostenuto economicamente o logisticamente, ma a volte si sono addirittura fatti belli a spese nostre assumendosi la paternità di eventi e situazioni organizzati e gestiti direttamente da Quinta Rua, senza considerare poi alcuni episodi in cui a livello locale siamo stati criticati ed ostacolati; insomma non solo Sindaci ed Assessori non si interessano a noi e non ci aiutano ma dà anche fastidio il fatto che ci si muova autonomamente organizzando eventi culturali e musicali senza passare al loro vaglio.
Per quanto riguarda le produzioni discografiche, la mia impressione è che per un gruppo che opera in una nicchia ristretta come la nostra la strada obbligata sia sempre l’auto-produzione: chi compra un nostro CD lo fa perché ci ha visti e sentiti suonare dal vivo o sul web e gli siamo piaciuti. Come i nostri amici artigiani che costruiscono e vendono in tutto il mondo ghironde e cornamuse, e sono conosciuti grazie al passaparola ed alla passione di chi affronta viaggi impegnativi per andare a trovarli a casa loro, non abbiamo bisogno di show-cases, uffici-stampa, passaggi in radio, inserimento in cataloghi con altri 200 nomi: i canali per entrare in contatto con gli appassionati della nostra musica sono altri; chiaro che fare un CD prodotto da un’etichetta con un nome altisonante è un fattore di prestigio e può aprire le porte di festivals e rassegne importanti, ma non è così fondamentale rispetto ad una attività “artigianale” come la nostra. Se poi qualcuno volesse investire tempo e soldi nel nostro progetto, nonostante la crisi generale e quella specifica del settore discografico, perché non parlarne?
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