Siké, primi classificati nella selezione territoriale di Palermo suoneranno nel corso di Folkest in Festa, la grande kermesse che come ogni anno chiuderà l’edizione 2012 di Folkest. In attesa di poterli ascoltare dal vivo, una breve intervista per conoscerli meglio.
Come molti gruppi che suonano musiche provenienti o ispirate dalle culture dell’Italia del Sud, avete scelto un nome che ha bisogno di una presentazione. Ce la volete fornire?
Il nome della band prende spunto dall’etimologia della parola “Sicilia”, composta da una radice indogermanica che suona sik, ed indica l’ingrossamento e la crescita, e in greco serve ad indicare frutti in rapido accrescimento, come siké (= fico) e sikùs (= zucca), sicché il termine significa “terra della fecondità, isola della fertilità”, come in effetti è sempre stata. Tanto che in periodo bizantino (secc. VI-IX) si credette che il nome Sicilia derivasse da siké ed elaia, unificando il nome greco di due piante tipiche dell’isola, quali il fico e l’olivo. La scelta del nome è legata anche alla musicalità della parola.
Da quando siete attivi come gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei singoli componenti hanno influito sulla creazione di un suono d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi conosce…
Il progetto Sikè nasce nel 1999, quando l’amore per la nostra terra (la Sicilia) e la curiosità di conoscerne l’essenza, ci conduce ad un’attenta ricerca intorno alle tradizioni popolari siciliane. Il gruppo è formato da 6 elementi (tutti originari di Messina e Milazzo): Giorgio Trifirò, cantante , autore e leader, già fondatore del gruppo etnico Kaloma, il cui brano iniziale U viaggiu è sigla iniziale del film di Casile Tra Scilla e Cariddi, e collaboratore dei Taberna Mylaensis; Giovanni Ragno (flauti e clarinetto), Alessandro Adornetto (fisarmonica), Dario Calamera (percussioni e oboe), Salvatore La Rosa (contrabbasso e basso elettrico) e Nico Isgrò (chitarra classica e mandolino). Dall’incontro di questi musicisti di diversa formazione, dal classico al jazz, da Sgrò con tanto di diploma in clarinetto, catturato anche dal suono del flauto a canna, lo zufolo, ad Adornetto, prima fisarmonica del gruppo folk “Città di Milazzo”, da Calamera, anche lui con studi classici alle spalle ed una predilezione per la percussione araba e spagnola, ai più giovani, ancora studenti di Conservatorio, Isgrò e La Rosa, nasce questo “sound” intriso di tradizione popolare e musica moderna. Tutti classe anni ’70 – ’80, ma già grande esperienza. Numerose sono state le esibizioni live nelle città e nei locali della provincia di Messina e non solo e le partecipazioni ai festival etnici (riscuotendo sempre notevole consenso). Nel 2008 pubblichiamo il primo CD dal titolo O Cuncè. Presentato nella splendita cornice di Castroreale (Barcellona P.G.) alla manifestazione Suoni del Sud, il CD ospita la voce storica dei Kunsertu Pippo Barile, il trio Encanto e il percussionista Vincenzo Castellana.
Presentate il vostro spettacolo, gli strumenti e il loro ruolo, come si articola la vostra scaletta sul palco…
Lo spettacolo, dal titolo Emigranti ‘nta me terra (Emigranti nella mia terra), descrive, in un percorso ideale fra musica e parole, lo stato d’animo di un giovane che, trovandosi ad attraversare lo stretto di Messina nel suo viaggio da emigrante, è vinto da due forze opposte: da un lato il desiderio di partire verso prospettive di futuro migliori (Scilla), dall’altro il senso di appartenenza alla propria terra (Cariddi), che lo chiama a sé con la voce della madre che vede partire il proprio figlio. Come gli italiani che una volta, con pochi soldi in tasca, partivano per le Americhe, così ancora oggi i nostri giovani emigrano. Ingegneri, ricercatori, artisti di ogni genere fuggono da una terra che sembra non dare loro l’opportunità di affermarsi come meritano. Emigrare diventa apparentemente l’unica via percorribile. Ma per ogni persona costretta alla fuga è una sconfitta doppia: alla propria identità ed alla propria terra. Spesso si esalta la figura quasi eroica dell’emigrante che, armato di coraggio, parte senza sapere cosa lo attende. Lo spettacolo è, invece, un invito ad “emigrare nella propria terra”: usare qui tutta quella forza, quell’entusiasmo e quelle capacità che ognuno di noi possiede. Le nostre musiche riproducono le antiche banniate (grida di venditori ambulanti), i suoni di reminescenza arabo-spagnola, i canti ed alle litanie dello stretto, attraverso l’utilizzo degli strumenti acustici quali il mandolino, la chitarra, il contrabbasso, i flauti, la tromba e le percussioni.
Quanta tradizione c’è nel vostro repertorio e quanta composizione?
La musica dei Sikè nasce dall’unione di musica classica, popolare, jazz e da un’attenta e minuziosa ricerca sulle tradizioni popolari della Sicilia. Dentro il solco della musica mediterranea i Sikè intrecciano suoni e ritmi a simboleggiare quello che è la natura della propria terra, senza disdegnare quella sperimentazione vitale per dare uno sguardo intelligente al futuro che ci attende volendo indicare metaforicamente un percorso da intraprendere per questa terra verso un futuro prospero di meravigliose sorprese. I testi sono scritti in dialetto ed in particolare vengono utilizzate parole dell’antico vernacolo siciliano.
Che effetto vi ha fatto partecipare a un concorso in cui sareste stati giudicati da una giuria e non dal pubblico? Un esito negativo non avrebbe potuto avere esiti deprimenti per il vostro ensemble?
La nostra partecipazione ha come obiettivo primario quello di far conoscere la nostra musica (piena di contaminazioni di vari generi musicali diversi che si uniscono attraverso la tradizione popolare) e la nostra bellissima terra, la Sicilia. Proprio in virtù delle finalità finora descritte, non temiamo il giudizio della giuria: poter partecipare al Festival Internazionale di musica folk più importante a livello nazionale, per noi è già un grande successo.
La Sicilia e la musica di qualità. Com’è la situazione della musica dal vivo nella vostra regione? E quella delle produzioni discografiche?
La situazione, purtroppo, non è delle migliori. Pochissime sono le produzioni discografiche a fronte di una notevole presenza di giovani artisti che “producono” musica di qualità. Si va avanti molto con l’autoproduzione. Il problema è di natura economica. E’ difficile trovare privati che investano nel campo della musica e dell’arte in generale. Le cose più importanti che ci spingono a continuare sono la passione e il credere sempre in quello che si fa e che si propone al pubblico.
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