di J.d.M.
Le maschere zoomorfe presenti all’interno di numerosi contesti tradizionali fanno probabilmente parte di un rito di fecondità che trae origine dal concetto di forza animale. La vecchia, di cui ho parlato nel capitolo precedente, compare nuovamente all’interno di un processo di metamorfosi che la vede come stadio finale rispetto ad un essere zoomorfo di partenza, del quale possiamo rintracciare alcune caratteristiche nella tradizione romagnola relativa al Cervulo. Questo essere, rappresentato durante il periodo carnevalesco da uomini travestiti per mezzo di una maschera sovrastata da corna da cervo o da bove, è identificabile con il defunto e si ricollega simbolicamente alla sfera di credenze relative al rapporto di parentela tra l’animale/totem e l’essere umano. La distinzione tra parente, animale cornuto e vecchia si è fatta sempre più labile nell’arco dei secoli poiché tutti questi simboli sono rimasti presenti all’interno della tradizione, molto spesso collegati tra loro da un punto di vista semantico. Rintracciare nell’elemento delle corna un richiamo all’idea di fertilità non è difficile ripercorrendo un processo di sedimentazione che, partendo da un passato totemico, passa attraverso la cristallizzazione di una concezione familiare la quale, seppur inserendosi perfettamente all’interno dell’ambito rurale che la include, si evolve trasfigurando le proprie radici simboliche. La morte dell’inverno e la nascita dell’anno nuovo in Romagna erano messe in scena fino a poco tempo fa bruciando un pupazzo che incarnava in se l’essenza della stagione passata. Il rito, che appartiene evidentemente ad un’iconografia di tipo agrario, presupponeva l’utilizzo delle ceneri del pupazzo carbonizzato come fertilizzante per i campi, inducendo alcuni studiosi a credere che si trattasse di una rappresentazione della morte/rinascita della vegetazione e dell’espulsione dei morti dal regno dei vivi al termine dei periodi “magici”. Il fantoccio era spesso caratterizzato da connotazioni del tutto legate al mondo vegetale: si trattava infatti di una figura antropomorfa molto spesso ricoperta di foglie o frasche. Questo aspetto si ricollega direttamente all’ipotesi da me avanzata che anche tra le piante fossero presenti figure considerate dall’uomo come totem. Attraverso la comparazione con un gran numero di festività analoghe si può dedurre che la motivazione magica alla base della festa del carnevale fosse l’esigenza di abolire il tempo passato e di ristabilire un periodo magico, legato alla crescita e alla comparsa della vita. Questa ipotesi trova conferma nelle numerose feste tradizionali celebrate durante il periodo carnevalesco in Romagna, caratterizzate da banchetti sontuosi seguiti da rituali di tipo orgiastico. Attraverso questa ricostruzione è possibile intravedere un antico strato di credenze secondo le quali, per compensare la misera condizione dei defunti, si sentisse il bisogno di mettere in scena tutta una serie di manifestazioni di vitalità, abbondanza e sessualità atte ad annullare il tempo per consentirne il rinnovamento. Una concezione, quest’ultima, che è tuttora riscontrabile all’interno di società di cacciatori/raccoglitori, e che continua a sopravvivere in pratiche rituali, ormai prossime alla scomparsa e che ne trasportano inconsapevolmente le vestigia. Non occorre però attraversare l’oceano e confrontarsi per forza con popolazioni primitive esotiche per ritrovare queste consonanze. Molte feste, ancora in voga nei paesi che consideriamo culturalmente civilizzati, conservano nelle proprie forme dinamiche del tutto simili a quelle riscontrabili presso le festività rituali tipiche di popolazioni tribali.
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