A quasi un anno dal grande successo al Festival del Cinema di Venezia e dall’uscita nelle sale cinematografiche, il film Passione, opera del regista e attore italo-americano John Turturro, continua a far parlare di sé, per diversi motivi. Passione ha rappresentato un evento nel mondo della musica partenopea ed è stato insignito di diversi prestigiosi riconoscimenti, due dei quali recentissimi: il Premio Città di Loano come Realtà Culturale (attribuito da una giuria di giornalisti specializzati negli aspetti culturali e musicali) e il Gladiatore d’oro (il riconoscimento assegnato da una giuria di personaggi istituzionali della Provincia di Benevento) che quest’anno è andato, tra gli altri, a M’Barka Ben Taleb, cantante-musicista tunisina, beneventana d’adozione, che arricchisce il film di Turturro con la sua presenza solare e la sua istintiva musicalità. In particolare la motivazione del Premio di Loano è interessante e colloca il contributo del film in una giusta dimensione: “Con una prospettiva diversa da quella puramente documentaristica, John Turturro ha avvicinato in Passione la canzone napoletana nei suoi colori attuali e nei suoi legami fra città e musica, oltre che nei soggetti, pure diversissimi fra di loro, che la compongono. Una storia recente con un retrogusto antico, raccontata con testimonianze quasi corali, in cui il quadro di insieme conta più delle singole personalità. Senza regole prefissate, la pellicola riesce a coinvolgere e a restituire un’immagine in movimento di una scena indefinibile e vorticosa, con i suoi mille rivoli, visibili e non”. Queste sono certamente ragioni valide per riflettere ancora sul film.
Il motivo principale per cui Passione riscuote consensi è che, a cavallo tra documentario e musical, raffigura una Napoli dinamica: sfaccettata, arricchita e integrata da fonti e contributi musicali diversi, non cristallizzata nel becero folklore in cui sarebbe stato facile cadere proponendo un’operazione sul tema della canzone napoletana. La pellicola presenta un ritratto originale e vivo della musica partenopea, anche attraverso filmati d’epoca, alcuni dei quali “stellari”, e reinterpretazioni di brani della canzone napoletana classica in chiave contemporanea. Scorre con la fluidità e l’incisività di un video clip suscitando intense emozioni; questo aspetto può essere considerato un merito, in quanto capace di coinvolgere anche attraverso l’uso di un linguaggio contemporaneo, ma rappresenta un punto sul quale interrogarsi, poiché chiama in causa forme espressive tipiche del mezzo televisivo senza il quale, ahimé, in questi tempi moderni nulla appare fruibile. Ma i tempi, volenti o nolenti, sono questi e allora meglio mettersi l’anima in pace e, anzi, sfruttare le opportunità dei nuovi linguaggi per far conoscere qualcosa che merita l’interesse dello spettatore. E questa è l’operazione che fa Turturro, affiancato per il soggetto e la sceneggiatura da Federico Vacalebre, giornalista culturale napoletano e consulente dell’Archivio Storico della Canzone Napoletana. Passione propone magnifici spezzoni d’epoca: da Angela Luce che canta Bambenella di Raffaele Viviani alle strofe cantate dalle truppe americane sbarcate a Napoli, dalla cui “rielaborazione” derivano le strofe finali della Tammurriata nera (magnificamente ripresa da Peppe Barra la cui potente voce, anche nel senso dell’intensa capacità evocativa, si rincorre e si accavalla con quelle di Max Casella e M’Barka Ben Taleb); da Carosone a Caruso. E poi ci sono brani della classicità rielaborati in modo interessante: ad esempio c’è M’Barka Ben Taleb che canta con parole arabe la canzone napoletana per eccellenza, quella conosciuta in tutto il mondo: ‘O sole mio – rinforzando il concetto che la melodia della musica napoletana, con la scala musicale con intervalli di semitono, utilizza la scala araba. C’è Misia, chanteuse del fado portoghese, che canta le canzoni della sceneggiata napoletana con un’elegante, sofferente, distaccata nonchalance regalando un’interpretazione al brivido di Indifferentemente; insieme all’espressivo Peppe Servillo con gli Avion Travel duetta in Era de Maggio. C’è una perla, rara e preziosa, rappresentata da Fausto Cigliano alla chitarra che interpreta Catarì di Salvatore Di Giacomo: essenziale, fresco e molto sentimentale. Uno dei momenti più commoventi è l’intervista a James Senese, ‘o niro napoletano, che parla del suo rapporto personale e problematico con Napoli. Altri interventi memorabili: la sensuale interpretazione di Raiz di Nun te scurdà degli Almamegretta insieme a M’Barka e Petra Montecorvino, e Gennaro Cosmo Parlato, tenore dallo stile “neomelodico consapevole”, in una sentita, disperata, urlata Maruzzella. C’è l’energia arcaica di Enzo Avitabile e i Bottari con Faccia gialla, il nomignolo con cui il popolo napoletano appella San Gennaro.
Interamente girato a Napoli e dintorni, Passione riprende angoli e vicoli conosciuti e meno nel centro antico, inquadrando interni ed esterni di possenti edifici storici insieme a vedute panoramiche più o meno note; alcune scene, come quella in cui il grande Peppe Barra interpreta Don Raffaè di Fabrizio De André, brano ispirato al camorrista Raffaele Cutolo,sono girate nel Castel dell’Ovo.
Certo, il film scatena riflessioni contraddittorie: l’idea di Fiorello, show man televisivo, che canta e balla su Caravan Petrol di Carosone in un film su Napoli fa accapponare la pelle e induce a riflettere sul fatto che la televisione si impadronisca sempre più anche degli spazi cinematografici; invece, messi da parte i pregiudizi, è da apprezzare come una delle scene più riuscite e divertenti del film in cui la bravura di Fiorello aderisce perfettamente alla melodia e al ballo nella scena ambientata nell’infernale solfatara di Pozzuoli. Poco convincente e piuttosto artefatta, invece, sembra la scena del tradimento di Massimo Ranieri in cui, insieme a Lina Sastri, canta Malafemmena di Totò.
Infine, alcune considerazioni: qualcuno ha criticato la scelta di aver individuato determinati musicisti per realizzare il film, escludendone altri. Tale scelta era necessaria, con l’obiettivo di realizzare un film e non un trattato enciclopedico sulla realtà musicale napoletana passata e presente. Da alcuni la scelta è stata associata al far parte di un giro, di un entourage. Non so se questo sospetto sia fondato, ma la dietrologia, in questo caso, inquina gli animi ed impedisce di valorizzare pienamente le novità che, senza dubbio, questa pellicola presenta.
Negli ultimi anni Turturro, i cui genitori sono originari del Sud Italia, ha riscoperto le sue radici manifestando tutto il suo amore per la città e la cultura di Napoli, riprendendo lavori teatrali di Eduardo De Filippo (con risultati, invero, non sempre felici). Con questa pellicola compie scelte precise, quasi tutte azzeccatissime e per niente scontate. Propone brani interessanti in un viaggio in equilibrio fra la classicità della canzone napoletana e la modernità dei linguaggi contemporanei. Evidenzia che Napoli è un crogiuolo di lingue e culture, di storia che si stratifica e si rimescola per generare altra storia, altra cultura. Sottolinea che la Napoli musicale pulsa di vita (anche se le vergognose cronache dei disastri ambientali e dello smaltimento dell’immondizia mettono a disagio e fanno pensare, già da diversi anni, che Napoli sia abbandonata a un degrado senza precedenti che forse la porterà a un definitivo declino). Nel viaggio di Turturro la storia è la musica di Napoli nella sua accezione più ampia. Non è una storia con un filo conduttore cronologico o di altra natura: il racconto fluisce tra interviste, interventi e brani musicali, talvolta a tratti, a salti, a balzi, talvolta snodandosi per libere associazioni di pensiero, sempre in una visione originale, personale, una visione caleidoscopica creata da occhi nuovi. Forse soltanto un italo-americano, cioè qualcuno che riconosce la tradizione e la apprezza, ma se ne è anche separato, poteva compiere con libertà questa operazione.
Federico Vacalebre dice
Da interessato, dico che la recensione mi è molto piaciuta, non solo perché più che positiva, ma perché centra quello che volevamo raccontare nel film e, soprattutto, perché affronta i problemi sul tappeto con lucidità e onesta intellettuale.