Quest’album è stato registrato a Firenze, presso Edipe Records da Nicola Cavina nei primi mesi del 2016, ma la sua gestazione è lunga quarant’anni, tanti sono i compleanni in musica che Pietro Sabatini si è lasciato alle spalle. Anni nei quali la sua influenza sul mondo del folk in Italia è stata decisamente importante, tanta quanto la sua ritrosia. Insegnante d’inglese per diletto, musicista per vocazione, il nostro ha percorso per anni le verdi lande dell’Irlanda, contribuendo con i Whisky Trail, alla fine degli anni Settanta, all’enorme diffusione della musica cosiddetta celtica nella Penisola, ha incrociato chitarre, mandolini e banjo daun lato all’altro dell’Atlantico, ascoltando ruvidi e sporchi riff di blues con orecchio attento al giusto mood.
A un certo punto della sua vita ha deciso di proseguire da solo, abbandonando vecchi compagni di strada e i sentieri più battuti: decisamente una scelta coraggiosa, perché di questi tempi l’aria che tira per chi faccia cultura non è delle migliori, ma di grande coerenza e con in testa una linea ben chiara su ciò che avrebbe voluto fare. In questo disco, solido e maturo, lo spiega finalmente anche a noi comuni mortali. Accompagnato da Gabriele Pozzolini alla batteria, Vieri Bugli al violino e Alex Camaiti alla chitarra acustica e ai cori ha dato corpo ai suoi sogni sonori, senza freni, né inibizioni, seguendo l’istinto di un vecchio lupo di mare livornese che annusa nel vento gli umori più sapidi e tiene la rotta a dispetto delle difficoltà. Il disco che ne esce mescola Neil Young con il prog italiano, l’amato Andy Irvine con Eric Bibb, una melodia toscana con i Lynyrd Skynyrd. E non vi sembri confusione, questa, perché alla fine è la musica di Pietro Sabatini che esce da questo meeting pot: decisa, precisa, potente, incanalata verso un immaginario porto d’attracco che solo chi da tempo va per mare come li intuisce, forse più che vedere veramente con gli occhi. Una gioia davvero, un disco come questo, piacevole e gustoso come un succoso frutto d’agosto. Forse non facile, facile, ma fascinoso. Mettetelo nel lettore, lasciatevi ammaliare, com’è capitato a me, mentre Pietro vi guarda sornione da una copertina forse anche troppo essenziale, attraverso la bella foto di Paolo Lamuraglia.
Comprategli questo disco, farete un piacere a lui, ma soprattutto a voi.
Andrea Del Favero
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