di Gloria Sereni
Si è svolta ad Arezzo i primi giorni di dicembre 2018 la 23esima edizione di Pifferi, muse e zampogne, il festival di musica popolare diretto dall’insostituibile Silvio Trotta. La rassegna, oramai divenuta essa stessa tradizione, è uno degli appuntamenti annuali di assoluta rilevanza nel panorama del folk italiano. Basta dare uno sguardo alla sintesi degli ospiti che in questi anni hanno popolato il palco del Circolo Culturale Arci Aurora di Arezzo per comprenderne la qualità. Musicisti di ogni angolo d’Italia hanno suonato le loro ance, chi all’impronta dell’innovazione e della sperimentazione, chi nel rispetto di stilemi più arcaici, ma tutti impegnati a dimostrare come la musica del passato si faccia presente nel qui e ora dell’esecuzione.
Il festival ha ospitato, come ogni anno, con la selezione nazionale di gruppi musicali o singoli artisti per la partecipazione al Premio Folkest – Alberto Cesa edizione 2019 a cui abbiamo dedicato ampio spazio in un altro articolo; qui sottolineiamo ancora una volta l’alta qualità del contest.
L’apertura della rassegna è stata affidata a Massimo Giuntini impegnato in un repertorio tra tradizione e composizione. Il musicista aretino ha conquistato il pubblico con i suoni vibranti e solenni delle sue uilleann pipes e, se pur breve, il suo concerto ha costruito atmosfere di grande suggestione. Amico del Circolo Aurora da anni, ha sottolineato il piacere di esibirsi nella semplicità originaria di uno spazio libero, difeso dalla tenacia di un direttore artistico in continua ricerca.
La serata è continuata con I Calicanto, storico gruppo della musica etnica italiana. Nascono nel 1981 con il preciso obiettivo di lavorare al recupero e alla valorizzazione della musica tradizionale veneta e nord adriatica. Alla passione per la ricerca etnomusicale e organologica si sono aggiunti negli anni innumerevoli interessi trasversali che hanno condotto il gruppo ad affrontare nuovi stimoli e nuove composizioni musicali legate anche al mondo della poesia, del teatro, della pittura, della cinematografia. Vantano numerose produzioni discografiche e artistiche ma è soprattutto portando la loro musica in giro per il mondo che si sono guadagnati successo e grande reputazione.
Meritatissima d’altronde, lo hanno ampiamente dimostrato sul palco dell’Aurora con un concerto fluido, frutto di una sapiente combinazione di strumenti tradizionali e classici. Rosa dei 20, nato da brani cari al gruppo, hanno nell’oboe del giovane Alessandro Tombesi l’elemento di novità più rilevante ma è la voce carismatica di Claudia Ferronato che colpisce ed emoziona. I canti, alcuni tradizionali, molti di loro composizione, sono gravidi di significati, connessi alla storia degli uomini e della loro terra e i fatti e gli eventi cantati sostanziano la funzione narrativa della musica come ricerca e conoscenza. Il pubblico ne è rimasto entusiasta e la cordialità di Roberto Tombesi, disponibile al dialogo e all’incontro, ci ha convinto che la modestia appartiene solo ai grandi artisti.
Sabato 8 dicembre, I Musaica hanno presentato il loro primo cd Canti e suoni dall‘Italia meridionale pubblicato dall’etichetta discografica Radici Music Records di Arezzo.
Musaica è composta da dieci giovani musicisti provenienti da Calabria, Puglia, Basilicata e Lazio. L’ensemble trova le sue radici all’interno del laboratorio EtnoMuSa, la prima orchestra universitaria in Italia di musica popolare, legata all’Università di Roma La Sapienza. Musaica si muove su due orizzonti: da una parte il lavoro di ricerca e di interpretazione di canti e suoni appartenenti alla tradizione popolare, dall’altra propone brani inediti, composti a partire dalle sonorità delle terre d’origine. Particolare attenzione è rivolta agli strumenti tradizionali: organetto, launeddas, bouzouki, lira, tamburi di ogni sorta. I timbri di questi strumenti, uniti al canto delle cinque voci del gruppo, rappresentano il suono Musaica, originale, ben amalgamato, ma soprattutto alimentato da un fuoco partecipativo sorprendente. Tra i brani spiccano quelli di loro composizione ricordiamo La capra, da una poesia di Umberto Saba. Una scelta non certo casuale, il poeta triestino infatti riflette sulla sofferenza umana, sul dolore universale partendo dal basso, nell’umiltà di stile e contenuti in perfetta continuità con i significati espressi dalla musica popolare nel tempo.
Colpisce inoltre il legame profondo di questi giovani con il mondo musicale del folk che riconoscono come dono dei loro grandi maestri. Li citano spesso durante il concerto con gratitudine e riconoscenza: Andrea Parodi, Alessandro Parente, I Fratelli Mancuso, Letizia Aprile, Ignazio Buttitta, e uno di loro a sorpresa sale sul palco. È Francesco Salvadore, percussionista degli Unavantaluna, gruppo storico siciliano, che suona e canta insieme ai dieci esuberanti Musaica in un tripudio di applausi. Un successo.
La variopinta passerella delle pluralità presenti nel panorama della musica etnica italiana ha attraversato anche quest’anno il piccolo grande festival di Silvio Trotta che ancora una volta ha elevato la sua rassegna a progetto culturale di tutto rispetto.
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