Questo disco è il coronamento di un lavoro profondo e di grande difficoltà, portato a termine con grande misura, attenzione e qualità. E bisogna dire che, viste le premesse, non sarebbe stato così scontato, a patto, appunto di chiamarsi Rachele Colombo, una musicista che non si tira indietro e ha un gran coraggio quando c’è da lanciarsi in nuove avventure sonore. Lo spunto venne nel 2009, quando Guglielmo Pinna le propose di cantare alcuni Canti da Bettello del Settecento veneziano nell’ambito del festival VeneziInCanto, da lui diretto. Devo dire che, trovandomi a dividere il palco con lei insieme con il mio gruppo nella stessa serata, rimasi colpito dalla freschezza musicale che traspariva da quelle melodie antiche, da quel vivace mosaico di voci, profumi, colori autenticamente veneziano che usciva prepotentemente dalle note evocative cantate da Rachele. Un’idea davvero fulminante, che avrebbe però avuto bisogno di una lunga lavoro di messa a punto: la vita di Venezia, questa città così unica e complicata, e la sua stessa anima sono racchiuse in queste quaranta canzoni. Quaranta brani che sono a loro volta il risultato di un paziente lavoro di selezione fatto a quattro mani insieme a Guglielmo Pinna, mai sufficientemente glorificato per il suo paziente e infinito lavoro di ricerca e di divulgazione dei materiali.
La prima difficoltà da affrontare era quella relativa al come interpretare queste canzoni.: le trascrizioni risentono infatti del gusto colto dell’epoca, piene di trilli e di appoggiature che, come viene sottolineato nelle note del libretto, risultano spesso forzate e innaturali. Ecco che quindi la chiave di lettura è necessariamente popolare o in senso popolare. Rachele Colombo ammette che nel suo approccio c’è un modo seriamente incosciente di una musicista che non ha un approccio colto, non ha un’impostazione lirica, ama il canto popolare, si accompagna con una chitarra, mira al suono della parola, alla comprensione ed interpretazione dei testi, in sintesi un modo più diretto e comunicativo da affiancare alle riproposte pseudo-filologiche conosciute. … Giunta alla fine – conclude la Colombo – posso così riassumere gli obiettivi della mia riproposta:
– la divulgazione e riappropriazione dei canti attraverso una fruizione facilitata che ridia popolarità a un genere divenuto colto;
– la possibilità di essere ricantati da cantanti non necessariamente professionisti;
– la possibilità di essere risuonati semplicemente con una chitarra attraverso la trascrizione degli accordi come fosse un canzoniere;
– la valorizzazione dei testi cantati con un’impostazione vocale non lirica che ne facilita la comprensione...
In queste parole è racchiuso il progetto di questo disco che, sia ben chiaro, è una delle operazioni discografiche più intelligenti e coraggiose di questi ultimi anni nel campo del folk italiano.
C’è una filosofia ispiratrice e a questa riconducono tutte le scelte operate, non ultima quella di inserire nel nutrito libretto che accompagna il CD tutti gli spartiti, anche con gli accordi segnati. Ottimo il lavoro dei vari musicisti a partire da Domenico Santaniello al violoncello che suona nella maggior parte dei brani, per andare via via a Elida Bellon al canto, Eleonora Fuser alla voce recitante, Guglielmo Pinna al canto, Catherine Robin al canto, Marco Rosa Salva ai flauti dolci, oltre al Piccolo coro di Marghera diretto da Guglielmo Pinna. E, naturalmente, Rachele Colombo, che come al solito suona un’infinatà di strumenti (e tutti bene…): canto, chitarra classica e battente, mandola tenore, cembalo, tamburello, tamburo, suoni campionati.
Per capire Venezia e conoscere una straordinario repertorio sconosciuto ai più, un irrinunciabile pezzo di storia della penisola italica: un disco che definire imperdibile è davvero poco.
Andrea Del Favero
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