L’idea, diciamocelo, è suggestiva anche se non facile da spiegare. Costringere il rock alternativo occidentale, in particolar modo il grunge, a sottostare alle regole, alla logica, alle strutture della musica indiana colta. Lo scopo, dichiarato, quello di sovvertire le regole non scritte della world music, che pretende di occidentalizzare le musiche etniche dalle quali deriva, spesso appiattendole verso semplificazioni avvilenti e mercificate. Protagonisti di questo ambizioso progetto quattro studenti di musica indiana del Conservatorio di Vicenza: Michele Mastrotto (percussioni e tabla), Elisabetta Giuspoli (canto classico indiano), Elisa De Munari (sitar, contrabbasso), Andrea Ferigo (chitarra e sitar) che divengono Mastromic (batteria, cornamuse), Eli (voce), Leli (basso), e Sitarvala (chitarre, sitar elettrico). La parola “ranj”, che in sanscrito significa “tingere”, “colorare”, assume quindi un particolare significato: quello di “colorare la mente dell’ascoltatore e fermarne il vorticare dei pensieri”, come specificato in un trattato indiano del settimo secolo dopo Cristo in cui si descrive la forma musicale più importante, il raga. “Ranj” non è un disco che si può ascoltare con indifferenza o superficialità, ma è innegabile il coraggio del progetto e la bontà del suo assunto. Chi ama essere sollecitato dalle provocazioni e non ha paura di non capire, si faccia avanti.
Dario Levanti
Ranj – “Ranj” (CD)
Freecom – FRRK0903, 2009
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