La capacità delle tradizioni vere, intimamente vissute, di sedimentarsi nel tessuto portante delle società che le hanno fatto scaturire, è riconfermata da questo prodotto discografico di alto livello che giunge dalla Puglia, regione delle Bande da Giro, alle quali abbiamo dedicato recentemente lo spazio che questo fenomeno merita. Anche se differenti sono obiettivi e contesti, non si può evitare di tracciare parallelismi e analogie e pensare amaramente a quanti altri tesori musicali delle tradizioni regionali del nostro Paese sono andati perduti. Ma consoliamoci con quello che c’è, e andiamo a vedere che cosa hanno saputo fare quelli della Municipale Balcanica (già il nome è tutto un programma) in questo loro secondo lavoro, dopo il disco di debutto Fòua che ci aveva solo parzialmente convinto per la sua ondivaga eterogeneità di intenzioni. Questo Road to Damascus (anche il titolo scelto sintetizza bene il messaggio di scoperta, di avventura, di frontiera) è un disco fortemente emblematico delle inquietudini fruttuose che percorrono le musiche di confine, sia tale limite territoriale oppure storico, come in questo caso. E questa Municipale Balcanica ci piace incondizionatamente perché interpreta un ruolo possibile per una Banda, oggi, una Banda che vale come quella storica perché dietro c’è l’anima del concerto popolare e degli strumenti a fiato che ne sono caratteristici implementati da fisarmonica, violino, chitarre, basso, batteria e percussioni. Interessante anche la presenza di testi non banali, ben interpretati dal cantante e chitarrista Raffaele Tedeschi. E la cover di Contessa di ruggeriana memoria è una chicca inaspettata, così come le versioni remix di un paio di brani dal precedente disco danno il segnale di un rinnovamento nella continuità. Da non perdere, se avete della tradizione una visione in movimento, sulla strada di Damasco, ovviamente…
Dario Levanti
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